Thailandia: una nazione verso la guerra civile

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Bangkok è nel caos. E per adesso spiragli per una trattativa non se ne vedono. Da quattro giorni gli scontri tra "camicie rosse" ed esercito vanno avanti senza sosta. Un escalation di violenze che fanno presagire giorni tristi per la Thailandia.

La zona di Rachaprasong, divenuto in questi due mesi di proteste il quartier generale dei rossi, circondato da Polizia e militari. Rama IV e Rama VI Road, due delle enormi strade che tagliano in due il centro della capitale, assomigliano ad un campo militare, con filo spinato e camionette dell’Esercito ogni 30 metri. Dall’altra parte della città, nel quartiere di Cbong Kai, si combatte da oramai 4 giorni senza sosta.

Nonostante la situazione di tensione, con le facce sorridenti le camice rosse accolgono i giornalisti nelle aree degli scontri. “Siamo contenti che possiate vedere cosa stanno facendo i militari”, dice un giovane mentre si ripara sotto una tettoia sgangherata nella zona di Din Daeng. Tra le mani stringe un sacchetto pieno di molotov pronte per essere accese e lanciate. Din Daeng è uno dei fronti più caldi. Due giorni fa, all’intersezione con Viphawadi-Rangsit Road, di fronte al grande distributore della Esso, sono morti, colpiti dal fuoco dei cecchini, quattro giovani delle camice rosse.

La zona intorno è chiusa al traffico 24 ore su 24 e per arrivarci bisogna percorrere più di un chilometro a piedi, senza esporsi troppo per non diventare il bersaglio dei tiratori appostati ovunque sui palazzi attorno. I Poliziotti che chiudono la strada non vedano quelle centinaia di persone che ogni minuto passano di li correndo con copertoni di auto in mano. O forse chiudono un occhio e lasciano fare.

“Certo che sanno chi siamo”, racconta Ratsami, un ragazzo seduto su una sedia sotto la gelateria con la serranda abbassata, “ma quelli sono dalla nostra parte e ci fanno passare. Il problema sono i militari”. Dal palazzo di fronte partono due spari. È difficile capire se a premere il grilletto siano soldati o rossi, in questo caos generale. Le colonne di fumo nero, da questo punto della città abbastanza aperto, si vedono sparse un po’ ovunque. Come si sentono forti esplosioni di granate, lanciate da entrambe le parti.

Tra loro, a resistere, ci sono anche molte donne. Stanno li, con il compito principale di portare acqua e viveri.Wasana ha 24 anni e da 2 mesi vive accampata a Rachaprasong. La incontro nel tardo pomeriggio nei pressi del Victory monument, dove la situazione sembra si sia calmata con lo scorrere della giornata, dopo le devastazioni della mattina. Con il suo Honda Pcx fa la spola, avanti e indietro dal campo base, per rifornire i compagni di acqua e cibo. Secondo lei, il pericolo principale, non sono i proiettili, ma i check point dei militari. “Se mi fermano quando non sono carica di cose va tutto bene. Ma se mi fermano mentre vengo qui, con lo zaino pieno, capiscono che sto aiutando le camice rosse e mi arrestano”. “Ma devo farlo – spiega – le ingiustizie che ci sono in questo paese vanno combattute”.

Arriva il tramonto. Sulla strada del ritorno, nella zona di Rangnam, sono ripresi gli scontri. Le raffiche sono violente e molto frequenti. L’associazione della stampa thailandese ha chiesto a tutti i giornalisti, locali e internazionali, di cessare le attività quando la visibilità si fa scarsa. Un consiglio da seguire alla lettera in una città fuori controllo. Mentre sono seduto sulla scrivania del mio hotel a raccontare di un Paese che sembra avviarsi verso una guerra civile, fuori si sentono ancora spari e il bilancio delle vite sprecate si aggiornano in continuazione. Sette morti soltanto oggi, trentuno da giovedì. Senza contare gli oltre duecento feriti.

Andrea Bernardi
(Inviato di Unimondo a Bangkok)

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