Sudan e Sud Sudan: pace o guerra?

Stampa

Paolo Merlo, classe 1945, informatico, è un cooperante italiano che dal 1989 compie missioni in Africa soprattutto per la formazione di insegnanti. Nel 2010 si è recato in Sud Sudan per tre mesi, così nel 2011 per più di un mese. Ora si trova nell’estremo sud del paese, presso Kajo Keji vicino al confine con l’Uganda: un osservatorio sul campo da cui giunge per Unimondo questo reportage.

Se alcuni giorni fa la guerra tra Sudan e Sud Sudan sembrava vicinissima, anche e soprattutto a causa della propaganda di entrambi i governi, sembra ora che la ripresa dei colloqui ad Addis Abeba cominci a portare qualche frutto positivo.

Il primo effetto, forse anche il più eclatante, è il ritiro delle truppe di occupazione del Sudan nella zona petrolifera di Abyei, appartenente al Sud. Qualche settimana fa i soldati del Sud si erano ritirati dalla contesa zona di Heglig, ormai facente parte del nord, anche se contesa per questioni storiche.

Con questa mossa, forse anche a sorpresa, Omar-el-Bashir, presidente dittatore “democratico” del Sudan, sicuramente ha attirato la sé ancora una volta le posizioni di favore dell’ONU e dell’Unione Africana. Già nella contesa su Heglig, l’occupazione da parte del Sud Sudan era stata definita “arbitraria” ed in contrasto con gli accordi del 2005. E il Sud aveva dovuto ritirare i soldati in due o tre giorni. Questa volta, senza farselo chiedere, ma attivando il ritiro in concomitanza con la ripresa dei colloqui di pace, il Sudan ha ottenuto ancora “punti politici” a suo favore.

La situazione è, come ovvio, assolutamente instabile, ma l’economia del Sud è talmente disastrosa che non si può e non si deve pensare sicuramente ad una guerra come soluzione del problema tra Sudan e Sud Sudan. Anche la condizione degli sfollati e dei profughi è al limite del collasso.

Se invece il quadro si evolvesse in una lenta pacificazione, si potrebbe anche far partire una qualche forma di ripresa economica anche per il Sud.

Ricordiamo che il Sud Sudan, ottenuta l’indipendenza il 9 luglio 2011, a nemmeno un anno di distanza, non ha strade (quelle asfaltate sono solo a Juba, la capitale, per una cinquantina di chilometri), ha solo due aeroporti con pista regolare (Juba e Malakal, al nord), non ha ferrovie né altre infrastrutture. L’unica città ad avere una centrale elettrica, che però fornisce energia solo in alcune zone e in determinate ore, è Juba.

Sul Nilo, che divide il paese in due, ci sono solo i ponti di Juba, di Nimule e quello verso Malakal. Per il resto, essendoci pochi strade ci sono anche pochi problemi! Gli attraversamenti del Nilo avvengono con traghetti vecchissimi che partono ogni ora dalle opposte rive ma che portano anche i “big lorries” (porta-container) e i bus delle poche linee pubbliche così attrezzate.

Non esistono fabbriche, l’artigianato è scarso e scarse sono le possibilità di sviluppare qualsiasi industria, data proprio l’assoluta mancanza di infrastrutture. Tutto è orientato allo sfruttamento dei pozzi petroliferi di Abyei, che però, allo stato attuale, sono stati chiusi per due motivi: il primo di non farli distruggere dall’aviazione del Sudan, secondo perché il Sudan ha dichiarato (non si sa se solo per propaganda) che nemmeno una goccia di petrolio sud-sudanese passerà sul territorio sudanese per essere esportato da Port Sudan (terminale petrolifero sul Mar Rosso, in Sudan) unico sbocco al mare per imbarcarlo sulle petroliere cinesi.

I cinesi intanto giocano a rimpiattino tra i due contendenti, sperando così di ottenere prezzi migliori o di conquistare completamente il Sud Sudan (almeno dal punto di vista economico, visto che da quello politico-militare appoggiano il Sudan).

Per finire, un nuovo oleodotto si sta preparando per il petrolio sud-sudanese, verso il golfo del Kenya, sull’Oceano indiano. Quando sarà pronto è impossibile dirlo, ma certo che se dovesse tardare anche solo di un paio di anni, facile previsione però, l’economia del Sud Sudan sarebbe sorretta solo dalle tasse di importazione, veri e propri balzelli che vengono imposti anche su quanto viene importato dalle ONG per aiutare questo popolo poverissimo e senza risorse immediate.

Paolo Merlo

Ultime notizie

La scheggia impazzita di Israele

11 Settembre 2025
Tel Aviv colpisce, implacabile, quando e come gli pare, nella certezza dell’impunità interna e internazionale. (Raffaele Crocco)

Eternit e panini kebab

10 Settembre 2025
Un pellegrinaggio sui campi da rugby italiani, con lo scopo di condividere e raccontare le capacità riabilitative, propedeutiche e inclusive della palla ovale. (Matthias Canapini)

I sommersi!

08 Settembre 2025
Entro il 2100 il livello marino sulle coste italiane potrebbe aumentare di circa un metro. (Alessandro Graziadei)

Stretching Our Limits

06 Settembre 2025
Torna Stretching Our Limits, l’iniziativa di Fondazione Fontana a sostegno delle attività de L’Arche Kenya e del Saint Martin.

Il punto - Il balletto delle "alleanze fragili"

05 Settembre 2025
Nel balletto delle “alleanze fragili”, una partita fondamentale la sta giocando il genocidio a Gaza. (Raffaele Crocco)

Video

Serbia, arriva a Bruxelles la maratona di protesta di studenti per crollo alla stazione di Novi Sad