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Smettiamo di delegare
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Foto: Unsplash.com
Questi ultimi tre mesi sono stati come una grande lente d’ingrandimento che ci ha mostrato chiaramente alcune dinamiche non certo nuove nella storia. I bambini e l’educazione a parole sono importantissimi, nei fatti non valgono nulla. I più grandi cambiamenti virtuosi della società sono quasi sempre scaturiti da alcuni folli che si sono ribellati all’ordine costituito, sono proseguiti con la diffusione nella società civile di quegli ideali che quei folli con coraggio facevano brillare e sono terminati con un’azione di massa che ha costretto la politica ad accogliere quei cambiamenti. Aspettarsi che sia la politica ad attivare quel cambiamento, tanto auspicato da molti nel mondo della scuola, è come confidare che sia la Monsanto a promuovere una battaglia contro la chimica in agricoltura.
Per carità ognuno è libero di credere quel che vuole e la vita non smette mai di sorprenderci, ma pare sinceramente poco lungimirante attendere passivamente che dall’alto nascano quelle iniziative che possano migliorare la scuola. Dipende da noi e solo da noi. Complici di una politica, che come al solito fa l’interesse di quei pochi che governano il mondo, siamo tutti noi che restiamo indifferenti, che ci facciamo anestetizzare da mirabolanti promesse e dichiarazioni d’intenti e che soprattutto deleghiamo ad altri la cura del bene più prezioso: i nostri figli. Che succederebbe se domani tutti scendessimo in piazza (con mascherine e a debita distanza) a dire ”Noi a scuola, a queste condizioni, non ci mandiamo i nostri figli?”. E non mi riferisco solo alle Didattica Distanza o ai muri di plexiglass.
Penso invece a tutte le basi su cui si basa l’approccio educativo della scuola italiana, penso agli spazi, alla gestione del tempo, all’organizzazione, alla didattica. È assurdo che i nostri bambini trascorrano otto ore dentro un’aula, è assurdo che si debba correre a finire un programma lasciando indietro parte della classe, è assurdo che per venticinque bambini e bambine ci sia un’insegnante, è assurdo che tutti i bambini debbano percorrere lo stesso sentiero d’apprendimento e su questo vengano anche giudicati. Quale il fondamento pedagogico di queste pratiche? Quale il fondamento pedagogico delle lezioni frontali, della suddivisione del sapere in materie, del ruolo passivo degli studenti nel processo d’apprendimento, dell’attenzione quasi esclusiva all’aspetto cognitivo? Come è possibile che gli insegnanti non siano formati e non siano stimolati a prendersi cura dell’aspetto emotivo e relazionale?
Sappiamo benissimo su quali basi costruire la nuova scuola quel che ci manca è il coraggio è di pretendere il cambiamento e possiamo farlo, anche domani volendo.
Chi nega che la scuola sia stata costruita per rafforzare il predominio dei pochi sui più o è ignorante (nel senso che ignora) o è complice, non ci sono altre opzioni. Alla prima opzione proviamo a porre rimedio invitandovi a vedere il documentario ”La educacion prohibida” dell’amico German Doin che ci spiega benissimo quando, come è perché è nata la scuola pubblica gratuita e obbligatoria, oppure a leggere il libro Diseducazione di Noam Chomsky dove il docente del Mit ci racconta della Commissione Trilaterale voluta da Jimmy Carter con lo scopo, tra l’altro, di costruire una scuola che non cadesse in derive democratiche.
Se vi va potete cercare in rete le parole pronunciate in parlamento da Guido Baccelli, il ministro della pubblica istruzione italiana che più volte ha ricoperto questo incarico, che disse nel 1894: ”Bisogna insegnare solo a leggere e scrivere, bisogna istruire il popolo quanto basta, insegnare la storia con una sana impostazione nazionalistica, e ridurre tutte le scienze sotto un’unica materia di “nozioni varie”, senza nessuna precisa indicazione programmatica o di testi, lasciando spazio all’iniziativa del maestro e rivalutando il più nobile e antico insegnamento, quello dell’educazione domestica; e mettere da parte infine l’antidogmatismo, l’educazione al dubbio e alla critica, insomma far solo leggere e scrivere. Non devono pensare, altrimenti sono guai!”.
In rete vale la pena scoprire anche la storia di David Spritzler, magari le vicende di questo giovane ci danno coraggio.
E non aspettiamoci nulla nemmeno da chi nella scuola ha assunto posizioni di prestigio, o almeno dalla maggior parte di loro, quelli si sono venduti per due soldi e non alzeranno mai le natiche dai loro comodi e sporchi divani. Il loro misero quanto strabordante ego gli impedisce di godere della bellezza della libertà.
Ha scritto Alessandro Mannarino:
”Svegliatevi italiani brava gente
qua la truffa è grossa e congegnata
lavoro intermittente
solo un’emittente
pure l’aria pura va pagata
In giro giran tutti allegramente
con la camicia nuova strafirmata
nessuno che ti sente
parli inutilmente
pensan tutti alla prossima rata
Soldi pesanti d’oro colato
questo paese s’è indebitato
soldi di piombo soldi d’argento
sono rimasti sul pavimento
e la poesia cosa leggera
persa nel vento s’è fatta preghiera
SI SPRECA LA LUCE SI PASSA LA CERA
SOPRA IL SILENZIO DI QUESTA GALERA
In giro giran tutti a pecorone
sotto i precetti della madre chiesa
in fila in processione
in fila in comunione
in fila con le buste della spesa
Giovanni grida solo per la via:
“fermatevi parliamo di poesia”
ma tutti vanno avanti
contano i contanti
minaccian di chiamar la polizia”
Paolo Mai è tra i fondatori della prima scuola primaria italiana che si ispira ai principi pedagogici delle scuole nel bosco, la scuola di campagna di Ostia (Roma) nata dopo l’asilo nel bosco. Cura il blog lavitaebela.it. Da qualche mese nelle librerie il suo La gioia di educare (Edizioni Tlon). Altri suoi articoli sono leggibili qui. Con l’asilo di Ostia ha aderito alle diverse campagne di sostegno di Comune.
Di Paolo Mai da: Comune-info.net