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Siria, sotto le bombe si distribuisce cibo
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Aleppo - Abu Ahmed è un simpatico, giovane e coraggioso ragazzo. Viene dalla provincia di Idlib ma da 3 mesi il suo lavoro è ad Aleppo. Non porta mimetica e Kalashnikov e non appartiene a nessun gruppo dell’Esercito libero siriano, anche se il suo cuore sta dalla loro parte. La sua missione nel mezzo di quella che chiamano “la madre delle battaglie” è portare cibo ai poveri del malandato quartiere di Tarik Al Bab.
Ci accoglie in una scuola di tre piani che da due giorni ospita il magazzino dei viveri. È stato spostato lì da poco perché il vecchio magazzino, qualche centinaio di metri più avanti, è finito accartocciato su se stesso dopo che un aereo ci ha sganciato sopra due bombe. È chiaro fin da subito: “niente video, foto o qualsiasi indicazione che possa aiutare il regime e i suoi MIG a rintracciare la nostra posizione o a riconoscere chi siamo”. Perché nella Siria in guerra, dove il regime cerca di tagliare le risorse minime a chiunque si opponga (non solo con le armi), il suo lavoro diventa pericoloso quanto quello dei combattenti che armati di solo Kalashnikov e RPG si battono contro carri armati, elicotteri ed aerei.
Abu Ahmed ha iniziato il suo lavoro contattando alcuni ricchi della zona prima che i ribelli prendessero il controllo di una parte di Aleppo. Quando i combattimenti sono iniziati la maggior parte di queste persone è fuggita verso la Turchia. C’è stato qualche giorno di smarrimento tra il team di 15 persone ma poi sono riusciti a riallacciare i contatti con chi forniva liquidità e hanno iniziato a distribuire cibo. Oggi, grazie al loro lavoro, 2mila famiglie hanno qualcosa da mangiare. Anche se la lista che il team di giovani ha raccolto in questo mese e mezzo supera le 5mila.
“Distribuiamo olio, olio da cucina, riso, zucchero, lenticchie, pasta e thè”, spiega uno dei volontari, “ma vorremmo fare di più”. La lista con i nomi dei capi famiglia e accanto il numero delle persone a carico è infinita. Tanto che il ragazzo, sfogliandola, si passa la mano sulla fronte. La distribuzione viene fatta porta a porta, tranne qualche eccezione. Una signora con la figlia arriva al portone della scuola. Ha bisogno di latte in polvere per il neonato, che i ragazzi non hanno. “Il latte in polvere è una delle cose più richieste che manca”, spiega Abu Ahmed. “Stiamo cercando di recuperarlo ma non è facile”. Un altro gruppo di donne bussa alla porta. Chiedono cibo, ma i volontari si affaticano a spiegare che prima di ricevere aiuti bisogna che si registrino e si mettano nella lunga coda d’attesa.
“Non riceviamo aiuti da nessuna organizzazione”, dice un po’ sconsolato Abu Ahmed. “Due settimane fa – racconta – una organizzazione saudita ci ha contattato. Abbiamo spiegato di cosa c’è bisogno ad Aleppo ma ancora nessuna risposta”. Intanto, in una delle stanze, i viveri da distribuire per la giornata sono pronti e vengono caricati su un camion bianco, senza scritte e adesivi, per evitare di diventare facili bersagli.
“L’unico legame che abbiamo con l’Esercito Libero Siriano”, racconta Abu Ahmed, “è che ci aiutano quando giriamo in strada a distribuire cibo e ci proteggono da possibili imboscate. I ribelli – aggiunge – ci forniscono spesso anche nomi di famiglie che necessitano di cibo. Stanno sul territorio ogni giorno e conoscono l’area dove operiamo meglio di chiunque altro”.
La distribuzione dura qualche ora. I volontari bussano alle porte, mentre i combattenti stanno all’inizio e alla fine della strada. “Spero che Dio dia la vittoria all’Esercito libero siriano”, dice una anziana signora quando il giovane volontario le distribuisce lo scatolone con il cibo. “Siamo una famiglia di nove persone”, dice un uomo che assiste alla distribuzione del cibo “non ho abbastanza soldi per portare fuori da Aleppo la mia famiglia e l’unica cosa che abbiamo sono questi aiuti. Anche se purtroppo soltanto ogni tre, quattro giorni”. Dopo qualche ora di lavoro i volontari tornano alla base. C’è da preparare sacchetti e scatoloni per il giorno successivo. Ma soprattutto c’è da trovare fondi per aiutare alter 5mila persone che stanno aspettando un piatto di riso.
Andrea Bernardi, dalla Siria
Twitter: @andrwbern