Sfamare il Mondo salvando l’ambiente: un dilemma

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Foto: Grab da Unsplash.com

Prima delle tre crisi successive - il Covid-19, la guerra in Ucraina, e ora la crisi di Gaza - il tema che preoccupava il Mondo era la crisi climatica. Un problema enorme e globale, che non solo non trova soluzione, ma pare aggravarsi. Un bel libro, Il pianeta dei frigoriferi, di Mauro Balboni, ne dà una lettura innovativa e lucida. Uscito nel maggio dell’anno scorso, il libro evidenzia in maniera argomentata e dettagliata il collegamento stretto che lega la crisi ambientale con quella futura, ma anche presente del cibo. 

Balboni ci ricorda che presto, nel 2050, il Pianeta avrà 10 miliardi di persone da sfamare: e che per fornire cibo a questa moltitudine non si potrà recuperare nemmeno un ettaro di terra coltivabile, se vogliamo, e dobbiamo, arrestare il riscaldamento globale. Anzi, sarà necessario restituire alle foreste il più possibile della superficie terrestre. Nei 10mila anni di agricoltura, abbiamo già convertito metà delle terre emerse in campi coltivati e pascoli. Posto questo problema, la soluzione sarà quindi di rendere più produttivigli ettari dedicati alla nutrizione umana. Ma rispettando i criteri di produzione che rendono sicuri gli alimenti, e evitando di inquinare i suoli e le acque. 

Il pianeta dei frigoriferi argomenta in primo luogo contro quelle che l’autore indica come false soluzioni. Prendiamo ad esempio il progressivo affermarsi, soprattutto nella parte ricca del globo, del mercato del bio. Secondo il FiBL, uno dei principali istituti di ricerca in agricoltura biologica al mondo, con  sedi in Svizzera, Germania, Austria, Ungheria e Francia, e con il FiBL Europe dispone di una rappresentanza a Bruxelles, la perdita di produzione per ettaro che si ottiene passando dai metodi convenzionali al bio è intorno al 25 percento. Se l’obbiettivo è l’opposto, aumentare la resa per ettaro, per evitare ulteriori disboscamenti, e di essere in grado di nutrire i 10 miliardi di sapiens in arrivo, questa non è una soluzione. O, almeno, non per tutti. Eppure,è proprio la parte di popolazione più attenta ai problemi ecologici, e spesso anche ai problemi di diseguaglianza con il Sud del Mondo, a rappresentare la fascia di consumatori del bio. Spesso,è anche la più ricca: perché, è noto, il bio costa ben di più dei prodotti alimentari comuni. Di tutto questo, la grande distribuzione organizzata —la Gdo, come la chiama Balboni- si è resa conto da un pezzo. E ha identificato questa fascia di consumatori come una frangia di mercato molto appetibile: ecco quindi che, se il mercato del bio è iniziato con piccoli produttori che vendevano in piccole botteghe a un pubblico “alternativo”, ora si trova negli scaffali dei supermercati, ed è distribuita, e spesso prodotta, dagli stessi che riempiono il resto degli scaffali.

Con questo, Balboni non intende screditare i vantaggi del bio, di cui egli stesso, con la sua esperienza in profondità di agricoltura e ambiente, è consumatore esperto. L’autore  ci ricorda che il problema globale di nutrire il mondo salvando l’ambiente non può passare da qui. Come il mito del “chilometro zero” é tutto fuorché sostenibile, dato che quei 10 miliardi di persone vivranno in grande maggioranza in megalopoli da 10 milioni di abitanti in su...

L'articolo di Maurizio Sacchi segue su Atlanteguerre.it

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