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Se amate questa Terra mangiate meno carne
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Se la sopravvivenza di questo pianeta vi sta a cuore non avete altra scelta: mangiate meno carne. Se vi siete inorriditi di fronte alle immagini dell’Amazzonia in fiamme, ed alle dichiarazioni scioccanti del Presidente Jail Bolsonaro che con le mani sporche di cenere incolpa le ONG presenti sul territorio perché “interessate a fare campagna contro il governo”, siete sempre in tempo per correggere la vostra dieta. In questi giorni tra i tanti messaggi di solidarietá che stanno facendo il giro dei social ce n’é uno in cui, su un umile pezzo di carta, si scrive che non possiamo andare tutti in Brasile a spegnere incendi. Verissimo, ma una delle cose che possiamo fare senza troppi sacrifici é ridurre il nostro consumo di carne, anche drasticamente se necessario. L’Amazzonia sta ardendo anche a causa dell’appetito del mondo per la carne economica. Considerazione tutt’altro che azzardata visto che il Brasile è il più grande esportatore mondiale di carne bovina, con circa il 20% delle esportazioni mondiali totali, secondo il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), una cifra che si prevede aumentare nei prossimi anni.
L’immagine ci risulta ancora piú chiara quando capiamo che la stragrande maggioranza degli incendi in Amazzonia è stata prodotta volontariamente da essere umani, cioé allevatori, agricoltori e taglialegna locali per liberare praterie di terra. Alberto Setzer, scienziato del National Institute for Space Research (INPE), ha affermato che la combustione può variare da una pratica agricola su piccola scala a una deforestazione mirata per progetti di industria agroalimentare meccanizzata e moderna. Gli agricoltori, allevatori e taglialegna aspettano la stagione secca per iniziare a disboscare e bruciare le aree in modo da piantare la loro soia (per alimentazione animale, altra principale esportazione del paese), raccogliere legna e permettere il pascolo estensivo al loro bestiame, ma la distruzione di quest'anno non ha precedenti. Secondo i dati recentemente pubblicati dall’INPE, il territorio amazzonico ha registrato oltre la metà dei 71.497 “punti fuoco” rilevati in Brasile tra gennaio e agosto, una cifra dell'83% superiore a quella dello stesso periodo del 2018 e del 15% rispetto alla media dal 2013. Questo grazie alla sfacciataggine di Jail Bolsonaro – e delle lobby protocriminali che lo sostengono, tra cui il cosiddetto “comitato della carne” brasiliano – dato che, dal momento in cui ha preso possesso dei nuovi poteri nel gennaio 2019, il Presidente ha incoraggiato agricoltori e allevatori a sfruttare la giungla amazzonica per spingere i loro affari, con un senso di impunitá che mai si era visto prima.
La pratica degli incendi boschivi (non solo in Amazzonia) è quindi in aumento, un aumento che coincide con l’elezione di Bolsonaro, e con l’aumento delle esportazioni di carne dal paese sudamericano. L'anno scorso, il paese ha esportato 1,64 milioni di tonnellate di carne bovina, la cifra più alta della storia, generando entrate per $ 6,57 miliardi, secondo l'Associazione brasiliana degli esportatori di carne (Abiec), un associazione di oltre 30 aziende brasiliane di imballaggi di carne. La crescita del settore delle carni bovine brasiliane è stata trainata in parte dalla forte domanda proveniente dall'Asia, principalmente dalla Cina e da Hong Kong (quasi il 44% delle esportazioni totali del 2018, secondo l'USDA).
Non potendo immischiarsi piú di tanto nella politica brasiliana, cosa realmente possiamo fare per salvare la foresta pluviale amazzonica, un territorio grande come tutta l’Unione Europea? La risposta è sempre la stessa: essere piú rispettosi dell’ambiente, piantare un albero, usare la bicicletta, ridurre i consumi, tutti quelli che vi vengono in mente. Ma soprattutto, vista la portata in termini di emissioni di gas serra generate del bestiame da allevamento, diminuire la presenza di carne dalle nostre tavole. La carne bovina è infatti responsabile del 41% delle emissioni di gas serra che provengono dall’allevamento di bestiame, il quale a sua volta rappresenta il 14,5% delle emissioni globali totali. Il bestiame rilascia metano attraverso i microorganismi che sono coinvolti nel processo di digestione animale, e protossido di azoto attraverso la decomposizione del letame. E il metano è 25 volte più potente del biossido di carbonio. É intuitivo: aumenta la richiesta di prodotti di origine animale a livello mondiale (come carne, latte e uova), si destinano maggiori territori al bestiame ed automaticamente crescono a i gas ad effetto serra.
I professori Dario Caro e Simone Bastianoni del gruppo di Ecodinamica dell’Universitá di Siena, in collaborazione con due professori statunitensi, hanno stimato la quantitá di emissioni di gas serra dovute a 11 tipi di bestiame, in 237 nazioni, rilasciate nell’ultima metá del secolo, piú precisamente dal 1961 al 2010, certificando che tali emissioni sono aumentate del 51% complessivamente. "Possiamo riassumere così: mangiare tanta carne contribuisce al cambiamento climatico” dice il professor Bastianoni, “da un punto di vista ambientale, sarebbe meglio che la popolazione umana seguisse di più l'esempio della dieta mediterranea, ricca di carboidrati e verdura, limitando l'uso della carne. Un miglioramento si avrebbe comunque anche dal preferire carni di maiale e pollo al posto di quelle di vitello". “L'anidride carbonica rilasciata dall'uso di combustibili fossili e dalla deforestazione rappresenta la porzione più ampia dei gas serra che hanno effetto sul cambiamento climatico” spiega il dottor Caro dell'Università di Siena, “tuttavia, metano e protossido di azoto, le sostanze prodotte dal bestiame, rappresentano circa il 28% del contributo al riscaldamento globale". Secondo l’iniziativa europea Copernicus, gli incendi di quest'anno in Amazzonia hanno già prodotto 230 milioni di tonnellate di CO2 (più di quelli siberiani). Innalzare i livelli di CO2 significa aggravare il riscaldamento climatico, che rende probabili altri incendi, e così via in un circolo vizioso.
Vi è poi una sostanziale differenza tra le emissioni rilasciate dai paesi in via di sviluppo, che risultano essere i maggiori responsabili di questo incremento, e i paesi sviluppati che invece hanno raggiunto il loro livello massimo di emissioni negli anni '70, per poi calare nel tempo fino ai giorni nostri. Ció nonostante, a giugno si é firmato un accordo tra il blocco dei paesi del Mercosur in Sudamerica e l'Unione Europea che potrebbe aprire ancora più mercati per l'industria dell'imballaggio della carne brasiliana. Il patto incrementerebbe le vendite ai partner esistenti (fino a + 100 mila tonnellate all’anno solo in UE), e indirettamente, aiuterebbe il Brasile ad accedere a potenziali nuovi mercati e blocchi commerciali, come l’Indonesia e la Thailandia. Un accordo che lascia in molti perplessi, soprattutto in merito agli standard di qualitá, considerando che agli agricoltori europei non può essere detto di usare meno pesticidi e di rispettare la biodiversità quando vengono stipulati accordi commerciali con paesi che non sono soggetti a standard ambientali, lavorativi e di prodotto comparabili.
L’Europa con la sua solita flemma qualche messaggio lo ha pure lanciato nei giorni scorsi: il ministro delle finanze finlandese ha chiesto all'UE di "rivedere urgentemente la possibilità di vietare le importazioni di carne di manzo brasiliana, responsabili degli incendi dell'Amazzonia”; analogamente l’Irlanda ha dichiarato di essere pronta a bloccare l'accordo a meno che il Brasile non prenda seri provvedimenti in Amazzonia. Francia e Italia, scettici fin dall’inizio sull’accordo, guidano il fronte dei paesi che vogliono sciogliere il trattato. Il mondo agricolo italiano lo respinge con forza, perché metterebbe a rischio la stabilitá di alcune nostre produzioni zootecniche. Macron, d’altro canto, si é reso protagonista di un’accesa polemica con Bolsonaro, degenerata in accuse personali. Bolsonaro che ha poi orgogliosamente rifiutato i 20 milioni di dollari stanziati dal G7 a supporto della crisi climatica amazzonica.
L’immagine completa é tragica. Il comportamento scellerato del Presidente brasiliano acutizza le tensioni giá altissime dell’opinione pubblica, che impotente é costretta ad osservare il polmone della terra bruciare da oltre 20 giorni consecutivi. Non possono che scoraggiare le proiezioni dell’OCSE e della FAO che in un rapporto congiunto prevedono che la produzione mondiale di carne bovina aumenterà del 16% tra il 2017 e il 2027 per soddisfare la domanda aggregata. E la maggior parte di tale espansione avverrá nei paesi in via di sviluppo, come il Brasile.
Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.