Scozia libera! Il referendum entra nel vivo

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Sta entrando nel vivo la campagna per il referendum sull’indipendenza della Scozia. Dopo aver lasciato il sipario al leader del partito indipendentista scozzese Alex Salmond, il governo inglese ha ufficialmente aperto la sua campagna per il “no” a inizio aprile con un comizio del Primo Ministro britannico David Cameron nel parco olimpico a Londra, simbolo evocativo dello spirito dell’Unione.

Prima di discutere gli ultimi eventi, ricapitoliamo il contesto. Il quesito cui tutti i cittadini residenti in Scozia saranno chiamati a rispondere giovedì 18 settembre 2014 è: “La Scozia deve essere un Paese indipendente?”. Con solo due risposte possibili, essenzialmente sì e no, l’esito è destinato a rimanere incerto fino all’ultimo, anche se in questo momento tutti i sondaggi indicano che la maggioranza relativa degli scozzesi è contraria all’indipendenza totale.

Vale la pena chiedersi comunque cosa potrebbe succedere in caso di vittoria del sì. Il parlamento scozzese, che al momento ha già alcune competenze autonome, negli ultimi mesi ha rilasciato una lunga serie di documenti dettagliando le conseguenze dell’indipendenza. Cessando l’unione con le altre tre nazioni costitutive del Regno Unito, Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord, la Scozia dovrebbe inventarsi ex novo una propria politica di sicurezza e difesa; dovrebbe decidere chi ha diritto di essere un cittadino scozzese e chi no; dovrebbe stabilire una politica fiscale; e via dicendo. E mentre su alcune cose Edimburgo potrebbe decidere in relativa autonomia, ci sono altre decisioni che dipendono anche da altri fattori. Tutto sembra indicare che la Scozia dovrebbe, ad esempio, uscire dall’Unione europea. Così infatti ha dichiarato il Presidente uscente della Commissione Europea Barroso, mettendo in evidenza come, per essere ammessa come nuovo Stato membro della UE, la Scozia dovrebbe avere il consenso di tutti i Paesi già membri: fatto non scontato, anzi pressochè impossibile.

Si tratterebbe di un cambiamento radicale che riguarda non solo la Scozia stessa ma anche, ad esempio, tutti gli immigrati che a oggi vivono a Edimburgo e Glasgow sottostando alle regole di Londra e un domani potrebbero veder cambiate le condizioni cui avevano sottoscritto inizialmente. E poi, ovviamente, saranno interessati anche tutti i cittadini britannici che vivono in altre parti del Regno. Come ha sottolineato giustamente il Primo Ministro David Cameron, “decideranno 4 milioni di persone ma gli effetti riguarderanno 63milioni di britannici’“. Seppure anche i più intransigenti nazionalisti scozzesi sono intenzionati a mantenere una partnership speciale con l’Inghilterra, alcuni cambiamenti radicali saranno inevitabili. Londra perderebbe, tra le altre cose, il controllo sulle importanti risorse energetiche e petrolifere che si trovano in territorio scozzese. Qualche spazio maggiore di manovra sembra essersi aperto sulla sterlina, che potrebbe essere mantenuta anche in Scozia senza doversi inventare una nuova valuta, con tutti i rischi che ne conseguirebbe. Anche su questo aspetto però Cameron si è rivelatosi intransigente.

Fino ad ora sono state proprio queste incertezze su cosa succederebbe in caso di indipendenza ad orientare l’opinione pubblica, che pur essendo schierata in maggioranza per una maggiore autonomia da Londra non è pronti a seguire Alex Salmond in un salto nel buio.

A questo riguardo va riconosciuto un grande merito al Regno Unito. Il governo britannico e quello di Edimburgo hanno avviato un processo politico rischioso gestendolo in maniera limpida e, per scomodare un termine oggi spesso usato a sproposito, assolutamente democratica. Londra ha legittimato il referendum scozzese impegnandosi a vincere la sfida lanciata dal nazionalismo su un terreno democratico attraverso il referendum popolare. I mezzi di informazione, il governo di Westminster, il parlamento scozzese, e anche le università stanno giocando una parte importante nell’informare il dibattito e fornire agli elettori gli elementi necessari per decidere. In questo modo il processo che porta al referendum non è stato polarizzante o divisivo ma, al contrario, si sta trasformando in un bell’esempio di democrazia. Almeno fino ad ora.

Tutt’altro scenario rispetto a quel che succede in Spagna dove, di fronte alle vigorose istanze di indipendenza avanzate dai cittadini catalani in occasione di un’oceanica manifestazione pubblica prima e delle elezioni regionali poi, il governo spagnolo di Mariano Rajoy ha negato risolutamente ogni possibilità di una consultazione democratica. In gennaio il parlamento autonomo catalano ha approvato una risoluzione nella quale si chiede al governo spagnolo di procedere con un referendum di indipendenza in data 9 novembre 2014. Il governo spagnolo ha immediatamente sbattuto la porta in faccia alle richieste di Barcellona e minaccia l’uso di ogni mezzo a propria disposizione per fermare il referendum che le forze politiche catalane sembrano intenzionate a perseguire egualmente. Le posizioni spagnole hanno polarizzato il dibattito, spingendolo su toni radicali, ingrossando enormemente le fila di coloro che in Catalogna vogliono l’indipendenza dalla Spagna. Se nel 2011 meno del 45% dei catalani voleva l’indipendenza, oggi oltre il 50% è pronto a votare a favore.

Rispetto a Madrid, tuttavia, il governo inglese ha un interesse di coerenza nell’autorizzare il referendum scozzese. Entro il 2017, infatti, nel Regno Unito si dovrebbe tenere il referendum per decidere se continuare a far parte dell’Unione europea. Il paragone non è immediato, ma il principio è lo stesso. Tanto che quei politici britannici che invocano l’uscita del Regno Unito dall’Unione oggi non hanno gioco facile a difendere gli interesse britannici in Scozia. Con la conseguenza che il dibattito rischia di farsi sempre più violento. In fondo, anche se di divorzi politici, sempre di diritto al divorzio si tratta. E come diceva il protagonista di uno dei film più conosciuti degli anni Ottanta, “un divorzio civile è una contraddizione in termini”. Chissà se questi referendum riusciranno a smentirlo.

Lorenzo Piccoli

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