Rigenerare le terre alte è la chiave per contrastare il deserto dell’agricoltura e della socialità

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Foto: Unsplash.com

Il pane e le filiere cerealicole hanno rappresentato per secoli uno dei capisaldi delle nostre economie e della nostra socialità, legate a ritualità che si succedono con il ritmo lento delle stagioni, alla tutela di semi antichi tramandati insieme a pratiche rispettose dell’ambiente e delle risorse.

Negli ultimi anni, con l’introduzione di varietà commerciali, abbiamo assistito a una perdita di biodiversità senza precedenti, e alla relativa crescita di una produzione industriale che riflette le sue conseguenze sulle risorse ambientali, sulla nostra salute, sulle economie di piccola scala.

Così la cerealicoltura, da filiera portante dei nostri territori, è entrata in balìa di speculazioni finanziarie che equiparano il grano a merce. Ma che succede se a ciò si aggiunge una crisi del grano senza precedenti, acuita dai drammatici effetti della crisi climatica? Molti agricoltori, specie nelle aree interne, si trovano costretti ad abbandonare i territori o a cedere i propri campi a multinazionali che investono sul fotovoltaico. 

Resistere è sempre più difficile ma quantomai necessario, per custodire queste aree e restituire un futuro possibile dove la sostenibilità sociale e dei territori siano una cosa sola. Ne abbiamo parlato con Romano Pazzagli, docente di Storia moderna presso l’Università degli Studi del Molise, direttore della scuola di paesaggio Emilio Sereni e della scuola dei piccoli comuni...

E proprio da qui partiamo: analizzando le condizioni attuali di questi territori e quali chiavi di sviluppo può rappresentare oggi il recupero dell’agricoltura.

«Quelle che oggi chiamiamo aree interne per indicare i territori marginalizzati dal modello di sviluppo capitalistico, sono state a lungo luoghi centrali, ambiti produttivi e spazi di civilizzazione. Il loro paesaggio era un mosaico nel quale spiccavano i campi di grano, segale, orzo, spelta e altri cereali. Verso l’estate il giallo delle spighe mature interrompeva il verde scuro dei boschi e quello più tenue dei pascoli, circondava i paesi e i villaggi, raggiungeva i bordi delle strade e gli argini dei fiumi o dei torrenti. Poi sotto i colpi dello spopolamento e dell’abbandono quel mosaico si è chiuso, l’agricoltura contadina è venuta meno. È stato uno sviluppo squilibrato, che ha aumentato le disuguaglianze tra città campagna, tra montagna e pianura, tra costa e entroterra...

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