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Quella stanchezza da pandemia pericolosa quanto il virus
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Foto: Unsplash.com
Un negozio in città. Una madre e una figlia che si guardano attorno: la figlia, d’un tratto, scoppia a piangere chiedendo alla madre “ma che vita è questa?”. Anche senza conoscere le ragioni per quella domanda disperata, lo squarcio che ha aperto riecheggia dentro per giorni. Che vita è questa?
Avremmo mille motivi – e ciascuno i propri – per farci questa domanda, ma negli ultimi tempi molti di noi se lo sono chiesto in relazione a un evento che ha stravolto le nostre vite. E proprio su queste vite ha imposto un punto interrogativo importante.
La crisi pandemica, l’abbiamo ribadito più volte anche qui sulle pagine di Unimondo, non è solo questione sanitaria. Se da un lato i sondaggi proposti in questi mesi disegnano uno scenario di responsabilità della maggior parte della popolazione, che sostiene la strategia messa in campo per rispondere all’emergenza, dall’altro lato un’indagine dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sui cittadini europei mette in luce come il 60% soffra di pandemic fatigue, uno stato di spossatezza cronica determinata dal protrarsi di questa crisi, che è anche il titolo del documento elaborato dall’Ufficio regionale per l’Europa (traduzione italiana “Pandemic fatigue. Rinvigorire e motivare le persone per prevenire il Covid-19”) e che fornisce strategie, principi trasversali e azioni concrete per mantenere il sostegno della cittadinanza verso le misure di contrasto al Covid-19.
La stanchezza da pandemia appare come una conseguenza naturale e attesa a fronte di prolungati e irrisolti disagi nelle vite di ciascuno, derivante da una serie di misure invasive imposte per ragioni di forza maggiore alla quotidianità di tutti noi. Una convivenza forzata e protratta nel tempo che ha innescato dinamiche nuove, che a loro volta hanno originato profondi malesseri psicologici: dalla demotivazione all’impegno e alla progettazione alla messa in campo di comportamenti paranoici o invece profondamente disinteressati, derive entrambe esito di un profondo disagio nella vita di ogni giorno e connesse in modo anomalo a quel sentimento di paura che paralizza o sparisce, ma che comunque diventa protagonista di nuove abitudini.
La necessità di azioni volte a implementare un piano integrato di risposta alla pandemia non deve escludere un aspetto di sostegno non solo economico, ma anche sociale e culturale alla gestione di questa situazione, che alimenta la sensazione di perdita di controllo sulla propria vita. In particolare con due aggravanti.
La prima è quella di genere, che come spesso accade pesa sul mondo femminile con maggior impatto, dato che le donne hanno assorbito la maggior parte del lavoro di cura informale e non retribuito durante la pandemia, riorganizzando in maniera drastica la propria vita e spesso ricorrendo a congedi non retribuiti o riduzioni dell’orario di lavoro. Senza contare l’aumento di episodi di violenza domestica e di conflitti di prossimità come ripercussioni della crisi e addensanti di un senso di solitudine generalizzata.
La seconda è la relazione con il tempo, che la modernità ci ha abituati a misurare in cose-da-fare-risultati-da-ottenere e che invece in questi mesi ci ha sbattuto in faccia, tra quarantene e isolamenti, la lentezza dell’attesa impotente, della noia, dello spaesamento da non-azione. Condizioni che hanno potenziato spossatezza, appesantimento fisico e stress, generando in molte persone casi di burnout dovuti all’assenza di prospettive di miglioramento personali e collettive. E condizioni che, causa l’esposizione prolungata, hanno diluito la paura, avendo come esito una rassegnazione stanca e demotivata e perdendo quindi quel suo prezioso ruolo di fattore motivazionale per mettere in campo comportamenti protettivi. Ecco perché l’invito lanciato dall’OMS è quello di “motivare le persone per prevenire il Covid-19”, perché se la somministrazione dei primi vaccini soffia per alcuni una ventata di ottimismo e di fiducia, la soluzione per uscirne non potrà essere solo medica, ma dovrà accompagnare i singoli e la collettività lungo una strada che ci renda non solo immuni al virus, ma anche in grado di reagire a uno stato generalizzato di depressione pandemica.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.