Quanto è mediterranea la nostra dieta?

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Foto: Unsplash.com

In un sistema estrattivista che sistematicamente si appropria delle risorse naturali, anche il linguaggio – quindi la narrativa – è oggetto di colonizzazione.  E in tempi nei quali la comunicazione sovrasta la realtà, lavorare sul linguaggio e manipolarlo è determinante.

Infatti viene sistematicamente costruito un dibattito polarizzato che annulla le sfumature e genera schieramenti contrapposti a cui aderire senza se e senza ma, avvilisce la dialettica ma soprattutto disabitua il pensiero. Ci rende passivi e annichilisce la nostra spinta a partecipare, oltre che indebolire la convinzione che ognuno di noi – individualmente o collettivamente – ha il potere di modificare il corso degli eventi. Chi ha più potere economico, si appropria e controlla parole, concetti e mezzi di comunicazione – come ogni altra risorsa -, rappresentando così la realtà nel modo più funzionale.

Pensiamo a espressioni bellissime e abusate, svuotate dei concetti a cui si riferiscono, che ci diventano insopportabili: resilienza, sostenibilità, salute, green, made in Italy, ecc. 

Parole in realtà scomode e ingombranti perché i loro significati sottendono a un sistema valoriale ed etico. Ma che, una volta abbandonata tale zavorra e reiterate spregiudicatamente, diventano addomesticate: le produzioni industriali diventano “green”, la tecnologia è la chiave per la “resilienza”, il nutri-score tutela la “salute”, la carne coltivata è “sostenibile” e la sovranità alimentare significa “made in Italy”. Un’appropriazione indebita che mistifica, non fa chiarezza.

Quanto c’è di vero nella narrazione odierna della dieta mediterranea?

In questa cornice, nel maggio scorso viene presentata “Mediterranea”, come la popolare dieta, dal 2010 patrimonio culturale immateriale dall’Unesco. È un’associazione non riconosciuta che include l’industria della trasformazione alimentare e il settore primario, con la finalità chiara di incrementare l’efficienza produttiva, accrescere la competitività sui mercati esteri, in definitiva generare, meglio e di più, profitto. La vecchia logica che ci ha portato a questo livello di degrado ambientale e sociale, che rivendica la necessità dei nuovi Ogm, che difende l’utilizzo dei pesticidi, che promuove il cibo generato in laboratorio, che ritiene necessario, finanche inevitabile, l’attuale modello industriale di allevamento che, solo in Europa, prevede il 70% della superficie agricola destinata a produrre mangime e foraggio per gli animali invece che cibo per le persone. Niente di più lontano dall’idea che abbiamo di “dieta mediterranea”: un’idea, peraltro, non del tutto esatta.

Uscito nel 1975, frutto di una ricerca dei coniugi Keys partita nel lontano 1952, “The Mediterranean Way” è il successo editoriale che ha promosso il concetto di “dieta mediterranea” rappresentato in tutto il mondo. Un regime alimentare che ha alcuni cibo-simbolo quali i cereali, l’olio, i legumi, il pescato, ma più in generale, un’alimentazione a base di prodotti freschi, non processati.

È poi da sottolineare che, essendo il Mar Mediterraneo un piccolo mare chiuso, con condizioni pedoclimatiche uniche al mondo, i paesi che si affacciano su questo mare sono stati da sempre obbligati a fronteggiarsi, a conoscersi, a relazionarsi e dunque si sono scambiati prodotti, preparazioni, ricette. Ciononostante, le tradizioni gastronomiche dei paesi che si affacciano sul bacino sono estremamente variegate, tanto che alcuni antropologi considerano la definizione stessa – dieta mediterranea – la “musealizzazione” di un’idea. 

Chi rincorre la logica del profitto

Di fatto, alcune delle materie prime o delle ricette “musealizzate” come simboli della dieta mediterranea sono acquisizioni relativamente recenti, posteriori alla colonizzazione delle Americhe, di cui il marketing, la comunicazione funzionale alla vendita, si appropria con l’obiettivo primario di massimizzare il profitto. Anche la salute, in questa cornice, diventa un grosso affare: si stabilisce che la “dieta mediterranea” è salubre e fa vivere a lungo, dunque si fa riferimento alla dieta mediterranea per vendere viaggi, soggiorni in centri benessere, passata “italiana” di pomodoro proveniente dalla Cina, addirittura prodotti processati di Gdo, che tendono a una non meglio identificata “mediterraneità”, fino a snaturarne il significato...

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