Quando anche lo sport, di fatto, discrimina le persone

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Foto: Facebook.com

“Tutti sanno tutto rispetto a questa situazione, e nessuno muove un dito: questo davvero ci terrei lo dicessi”. Si chiude così l‘intervista a Luisa Rizzitelli, presidente di Assist – Associazione Nazionale Atlete – associazione che da 21 anni lavora nell’ambito della parità nel mondo dello sport. A monte una chiacchierata sul mondo dello sport oggi con lei e Martina Caironi, campionessa paraolimpica: abbiamo parlato di sport, discriminazioni, professionismo, dilettantismo – e come è stato regolato l’intero settore. Ricordiamo che Martina è anche attiva in ambito sociale, sostenendo il lavoro di diverse realtà tra le quali spiccano Fondazione Fontana, il progetto di Assist “SAVE – Sport Abuse and Violence Elimination”, e l’Osservatorio sulla violenza contro le donne con disabilità creato da Differenza Donna.

Mondo dello sport: come siamo messi in Italia, Luisa?

Malissimo. Hanno appena bloccato la riforma con cui riuscivamo a inquadrare il lavoro sportivo, che nel caso delle donne si tratta di accedere al professionismo. 

Nel senso che le donne per legge non posso accedere al professionismo?

La legge non dice “è vietato alle donne” perché non potrebbe; di fatto però preclude alle donne il professionismo, perché attribuisce al Coni e alle Federazioni sportive il compito di decidere quali siano le discipline per professionisti. Questa distinzione è stata tracciata solo per quattro sport (calcio, basket, ciclismo su strada, golf) e declinata esclusivamente al maschile.

Quindi per tutti gli altri sport uomini e donne sono dilettanti; con l’ulteriore aggravante che per questi quattro sport c’è un trattamento di disparità tra uomini e donne.

Sì, di fatto le donne in toto non hanno nello sport l’accesso al professionismo. E questa credo sia la più grande discriminazione che abbiamo in Italia perché in nessun altro ambito della vita sociale hai una situazione nella quale non ti è permesso accedere alla legge di uno stato.

Cosa implica essere sportivi dilettanti o professionisti?

Nell’essere dilettante non hai nessuna tutela. Non ti viene corrisposto uno stipendio, ma una sorta di rimborso spese; oppure ti danno un compenso per prestazioni sportive dilettantistiche ma senza nessun diritto. Si tratta di un accordo finanziario privato che prendi di volta in volta con il tuo club. Infatti gli atleti che subiscono un mancato pagamento sono tantissimi: un esempio tra i tanti la pallavolista Lara Lugli. E quando lo ha fatto notare ed ha chiesto quanto le spettava, è stata citata per danni per essere rimasta incinta (denuncia ritirata dopo la stesura dell’articolo, ndr). Ovviamente anche la maternità non è tutelata. 

In questa dinamica come si inseriscono i gruppi sportivi militari?

In Italia abbiamo lo sport più militarizzato al mondo. Per avere una tutela, atleti ed atlete devono andare nei gruppi militari, soprattutto per quanto riguarda gli sport individuali. E quindi si arriva al paradosso in cui le medaglie degli ultimi giochi olimpici sono andata al 90% ai gruppi sportivi militari. In termini di investimento economico, questo significa che con le nostre tasse ogni anno paghiamo circa 40 milioni per atleti ed atlete che dovrebbero essere pagati dalle società sportive. La riforma andava in questa direzione: ed invece il mondo politico ha scelto di rimandare la tutela dei diritti fondamentali di lavoratori e lavoratrici.

Martina, tu come sei inquadrata?

Noi paraolimpici in futuro entreremo nel gruppo sportivo militare a tutti gli effetti, anche se con delle questioni da risolvere - come ad esempio l’idoneità fisica che non abbiamo. Entreremo come civili, non militari. Io lavoro nello sport dal 2010 ma fino ad oggi non ho ricevuto un vero stipendio dalle Fiamme Gialle, ma un rimborso spese basso che è lo stesso che il comitato paraolimpico dà alle società sportive. Invece, grazie alle mie medaglie, ricevo dal 2012 un compenso mensile (oltre al premio medaglia alle paraolimpiadi emesso una tantum) dal comitato italiano paraolimpico (CIP) che mi permette di vivere di sport.

Donne e sport: tu come vedi il tema?

Mi viene da dire che c’è una donna che si è candidata alla presidenza del Coni: Antonella Bellutti, ex campionessa olimpica. Credo sia la prima. Ho seguito il percorso di Antonella, ascoltando la sua campagna elettorale: in un’occasione hanno presentato i 4 candidati, e lei è stata l’unica ad essere introdotta come ‘una bella signora di 52 anni’. Gli altri non erano dei ‘bei signori di 75 anni’: io quando io l’ho sentita definire così ho pensato “ma cosa c’entra”. C’è da lavorare molto su questo. In ogni caso crea un precedente, il fatto che ci sia una donna fa pensare alle donne “forse anch’io posso farlo”. Magari pensiamo di essere fatte per altre cose, la società ci ha sempre collocate in altri ruoli ma adesso secondo me si può andare molto oltre questi schemi.

Oltre alla questione contrattuale, hai vissuto episodi di discriminazione?

Da donna e sportiva per fortuna non ho mai vissuto sulla mia pelle atti di discriminazione in quanto ho trovato sempre ambienti in cui la discriminazione poteva essere il fatto di avere una disabilità, non di essere donna. Poi però aprendo gli occhi e guardandomi intorno queste discriminazioni le vedo. Spesso siamo noi donne ad avere una forma mentis che è legata ancora ad un maschilismo latente e non ce ne rendiamo conto. Io penso debba essere fatto un lavoro prima su noi stesse; senza però sfociare in un femminismo estremo perché come tutti gli estremismi si rischia di avere la mente annebbiata, di non accorgersi di quali sono le cose che ci hanno riconosciuto e quelle che dobbiamo conquistare - non solo per il fatto di essere donne, ma per il fatto di essere donne capaci.

Un’osservazione in chiusura?

Sento che c’è un risveglio anche nello sport del ruolo della donna, che può derivare dai tempi che stanno cambiando oppure al contrario – è questo cambiamento nello sport che può essere un traino per il resto. Se penso alla mia esperienza, aggiungerei poi il discorso del fisico: l’atleta ha chiaramente un’attenzione importante nei confronti del corpo, lo cura. Quindi anche l’immagine che ne deriva è quasi sempre un corpo perfetto. Nel paraolimpico questa cosa viene stravolta, vedi un corpo che è - passami il termine – imperfetto, con delle fragilità che sono evidenti. Lì è la potenza del paraolimpico, e ci metto dentro anche la questione femminile: si può ridisegnare una bellezza, che non è quella che abbiamo sempre visto sui giornali e che è nel nostro immaginario. Lo sport paraolimpico aiuta a mostrare anche corpi non perfetti ma forti.

Novella Benedetti

Giornalista pubblicista; appassionata di lingue e linguistica; attualmente dottoranda in traduzione, genere, e studi culturali presso UVic-UCC. Lavora come consulente linguistica collaborando con varie realtà del pubblico e del privato (corsi classici, percorsi di coaching linguistico, valutazioni di livello) e nel tempo libero ha creato Yoga Hub Trento – una piattaforma che riunisce varie professionalità legate al benessere personale. È insegnante certificata di yoga.

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