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Perché Soulèvements è in strada
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Immagine: Unsplash.com
Ci sembra di straordinario interesse questo documento di Les soulevements de la terre, uno dei più interessanti e repressi movimenti francesi degli ultimi anni che declina le proteste per il clima con la gestione dell’acqua e dunque contro l’agricoltura intensiva, senza separare le questiona ecologica dalla questione sociale. Non solo perché ricostruisce in modo puntuale le ragioni della importante quanto complessa lotta dei contadini in Europa, ma perché allarga il concetto di lotta dal basso intrecciando umiltà, rabbia e amore per la terra. “L’attuale movimento, nella sua eterogeneità, è stato questa volta avviato e ampiamente sostenuto da forze diverse dalle nostre… Possiamo solo rallegrarci del fatto che oggi la maggioranza degli agricoltori blocchi il paese. Certo è un peccato che, nei negoziati col governo, siano rappresentati dalla FNSEA e dai padroni dell’agroindustria…, per di più in un momento in cui i dirigenti del sindacato di maggioranza non vengono solo copiosamente fischiati in alcuni dei blocchi, ma non riescono nemmeno più a mantenere le loro basi. Molte persone presenti nei blocchi organizzati non sono sindacalizzate e non si sentono rappresentate dalla FNSEA…”. Uno tra le principali ragioni che spingono gli agricoltori alla protesta è che i gruppi industriali intermediari sia a monte che a valle dei settori che strutturano il complesso agroindustriale, “li spossessano dei prodotti del loro lavoro…”. Gli accordi internazionali di libero scambio – denunciati, tra gli altri, dalla Confédération paysanne e dalla Coordination rurale -, oltre a mettere in competizione i contadini di tutto il mondo, hanno accelerato questi processi: così si riduce il numero di contadini e l’agroindustria espande superfici agricole e profitti. A tutto questo si aggiunge la brutalità del cambiamento climatico, di cui l’agricoltura industriale è tra le principali cause. “Pur non avendo lezioni da impartire agli agricoltori né false promesse da rivolgergli – scrive Les soulevements de la terre -, l’esperienza delle nostre lotte a fianco dei contadini – che si tratti di contrastare grandi progetti, inutili e imposti, come i mega bacini, o di riappropriarsi dei frutti dell’accaparramento delle terre – ci ha offerto alcune certezze che guidano le nostre scommesse strategiche… L’ecologia sarà contadina e popolare oppure non sarà… Crediamo anche nella fecondità e nel potere delle alleanze estemporanee…”.
Sono trascorse settimane da quando il mondo agricolo ha preso ad esprimere chiaramente e nei fatti la sua rabbia: rabbia di una professione diventata quasi impraticabile, in crollo sotto la brutalità degli sconvolgimenti ecologici che si annunciano e sotto asfissianti vincoli economici, normativi, amministrativi e tecnologici. Mentre i blocchi continuano un po’ ovunque, presentiamo alcune posizioni circa la presente situazione espresse dal punto di vista dei Sollevamenti della Terra (Les soulevements de la terre).
Siamo un movimento composto da abitanti delle città e delle campagne, di ecologisti e contadini già installati sulla terra o in procinto di installarsi. Rifiutiamo la polarizzazione che alcuni cercano di creare tra questi mondi. Abbiamo fatto della difesa della terra e dell’acqua – strumenti di lavoro degli agricoltori e degli ambienti di produzione alimentare – il principio e il punto di ancoraggio della nostra azione. Da anni ci mobilitiamo contro i grandi progetti di artificializzazione che li devastano, contro i complessi industriali che li avvelenano e li monopolizzano. Saremo chiari: l’attuale movimento, nella sua eterogeneità, è stato questa volta avviato e ampiamente sostenuto da forze diverse dalle nostre; con obiettivi dichiarati che a volte divergono dai nostri, che altre volte ci vedono assolutamente d’accordo. In ogni caso, quando sono iniziati i primi blocchi, noi dei diversi comitati locali abbiamo aderito ad alcuni di esse e ad alcune azioni. Siamo andati a incontrare i contadini e gli agricoltori mobilitati, abbiamo parlato con i nostri compagni di diverse organizzazioni contadine per comprendere la loro analisi della situazione. Noi stessi ci siamo ritrovati nel dignitoso moto di rabbia di chi rifiuta di rassegnarsi alla propria estinzione.
Possiamo solo rallegrarci del fatto che oggi la maggioranza degli agricoltori blocchi il paese. Certo è un peccato che, nei negoziati col governo, essi siano rappresentati dalla FNSEA e dai padroni dell’agroindustria, per di più in un momento in cui i dirigenti del sindacato di maggioranza non vengono solo copiosamente fischiati in alcuni dei blocchi, ma non riescono nemmeno più a mantenere le loro basi. Molte persone presenti nei blocchi organizzati non sono sindacalizzate e non si sentono rappresentate dalla FNSEA. Nato nel dopoguerra, questo sindacato egemone sostiene da decenni lo sviluppo del sistema agroindustriale, in cogestione con lo Stato. È questo sistema che mette una corda al collo dei contadini, che li sfrutta per alimentare i propri profitti e che alla fine li spinge a indebitarsi per espandersi al fine di rimanere competitivi o scomparire. Nel 1968 Michel Debatisse, allora segretario generale della FNSEA, prima di diventarne presidente, disse: “Due terzi delle aziende agricole non hanno, in termini economici, alcun motivo di esistere. Siamo d’accordo per ridurre il numero degli agricoltori”. Missione più che riuscita: il numero degli agricoltori e dei lavoratori agricoli è passato da 6,3 milioni nel 1946 a 750.000 nell’ultimo censimento del 2020. Mentre il numero dei trattori nelle nostre campagne è aumentato di circa il 1000%, il numero delle aziende agricole è diminuito del 70% e quello dei lavoratori agricoli dell’82%. In altre parole, più di 4 lavoratori su 5 hanno abbandonato il lavoro agricolo in un periodo di soli quattro decenni, tra il 1954 e il 1997. E la lenta emorragia continua ancora oggi…