Pakistan: e adesso che cosa fare?

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Il punto basilare è che il Pakistan non otterrà quella merce detta “pace” in Kashmir, Afghanistan e Asia Centrale perseguendo solo i finie i mezzi di Washington e di qualche élite locale. Perché sbocci la pace bisogna considerare pure gli obiettivi di altre parti; e sono molti. La logica dei giochi politici perseguiti oggi presuppone un qualche genere di vittoria o dominazione del “nostro versante”: né fattibile né desiderabile per la pace. Da qui la necessità di qualche visione per politiche di pace in Kashmir, Afghanistan e Asia Centrale per domani o posdomani, con la speranza che possano essere utili quando sarete arrivati fin dove si può con le politiche attuali. Nulla di questo è facile; e senza visioni addirittura impossibile.

La visione non-dogmatica piuttosto particolareggiata riportata in appendice è stata il mio discorso di accettazione del Riconoscimento di Costruttore di pace internazionale Abdul Ghaffar Khan del 2011 da parte dell’Associazione Musulmana Pakistano-Americana. Comunque, perché le politiche attuali sembrano così spesso del tutto imbelli?

L’impero britannico tracciò tre linee con effetti disastrosi per il Pakistan: la linea Durand nel 1893, una ferita di 1.600 miglia che definiva il confine con l’Afghanistan, dividendo la nazione Pashtun – la maggiore al mondo senza un proprio stato –in due parti; la linea McMahon del 1914 che definiva il confine con la Cina secondo modalità inaccettabili ai cinesi; e la linea Mountbatten del 1947 che condusse alla violenza catastrofica della partizione [dell'India]. Queste linee devono essere annullate, liberando il Pakistan da quel passato. Sicché non c’è una legge naturale che asserisca che il Punjab non possa essere un’entità con un confine aperto e un libero traffico di persone e idee, beni e servizi, pur appartenendo le due parti a paesi distinti. Lahore e Amritsar sono due facce della stessa moneta, come le due parti della nazione Pashtun e le parti del Kashmir. Si faccia in modo che s’incontrino, per esempio come ipotizzato qui sotto.

Eppure si sente poco o nulla di questi parametri chiave costrittivi delle politiche pakistane. Ciò che si sente è il termine “terrorista”, il lessico USA degli anni 1980 che tronca la comprensione della controparte definendola come il male senza altri progetti che fare il male. Sentiamo parlare della illegittimità di tutte le entità non-statuali che combattono “asimmetricamente” stati legittimi.

L’essere mediatore di ONG in colloquio con molti di loro – come i taliban vicini ad Al Qaeda –è stato molto utile. Essi parlano di terrorismo di stato USA-Pakistan, della mancanza di legittimità delle uccisioni USA sul territorio di altri stati, e dello stato pakistano su chi stia vincendo queste guerre asimmetriche quando si ha dalla propria spazio, tempo, e masse di persone. Senza dubbio c’è spazio per “dialoghi” di scambio delle rispettive illegittimità, lanciandosi reciprocamente calunnie. Ma da lì non uscirà alcuna pace.

Né dal nuovo “documento sulla sicurezza” (Dawn, 27-28 febbraio 2014) “per mettere sotto tiro la fonte del terrorismo in risposta ad atti di violenza militante ovunque nel paese”. Sì. la “violenza militante” è deprecabile; la questione è come ridurla. “100 terroristi sarebbero stati uccisi da attacchi aerei nelle aree tribali”. La domanda fondamentale è quanti nuovi siano ne stati prodotti? Il periodico tedesco Der Spiegeluna voltane ha stimati circa 30 per ciascun ucciso. Forse 5. Quante altre vittime significative – nella famiglia, prossima o allargata, fra i vicini, gli amici – aveva il “terrorista” ucciso? Diciamo, 100. Il 5% può reagire, il che dà un 5 a 1.

Colpire la “fonte del terrorismo” suona razionale. Qualcuna può essere in “aree tribali” povere, emarginate (si noti il disprezzo e la distanza sociale dagli anglofili impliciti fra le élite pakistane). Ma qualche fonte può anche essere nella politica di quelle élite. Colpirle sembra suicida. Così pure continuare con le passate politiche invariate. L’obiettivo è una AutoritàAntiterroristica Nazionale (Nacta)“con una forza di reazione rapida e una sezione aerea che comprenda elicotteri e velivoli ad ala fissa”. Altri balocchi per i ragazzi. Li otterranno.

Ma c’è altro riguardo alla nuova politica di sicurezza. “Intende integrare le moschee e le madrasse al sistema d’istruzione nazionale fra un anno“. Subordinando l’islam al ministero dell’istruzione? Suona contro il primo dei cinque pilastri dell’ islam, lo Shahadah, “non c’è altro Dio che–”. Non il ministero, non lo stato. In questa equazione, una parte considerevole del Pakistan starebbe dalla parte dell’islam invece che dello stato. Le folle in ressa, non il vertice ben vestito.

Costruire in sei mesi una narrativa nazionale contro la mentalità estremista”. Come tratteranno i colpi di mano militari, anch’essi un tantino estremisti? – eppure si considerano puramente razionali. Ci sarà qualcuno che prenda un tal genere di elaborato per qualcosa di diverso da propaganda governativa? O peggio, per propaganda USA, la frase puzza di Washington, architettata in stanze lontane dalle realtà concrete dei Pashtun, dei Baluci, dei Punjabi, dei “tribali” e di altri nella complessità pakistana.

Migliorare la condivisione dell’intelligence e rafforzare il coordinamento fra l’Inter-Services Intelligence e le agenzie civili”. Suona come maniera morbida per mettere le briglie all’ISI? Buona fortuna, sono loro a gestire un bel po’ del paese (con le élite anglofile e i proprietari terrieri).

Dawn scrive che il partito d’opposizione PTI (Pakistan Tehreek-e-Insaf) termina il blocco di quattro mesi di forniture NATO all’Afghanistan (via strada): l’Alta Corte di Peshawar ha giudicato illegale l’arresto e il controllo dei veicoli che trasportavano merci in Afghanistan. Il libero traffico d’armi è OK? E magari pure il libero traffico di donne schiave sessuali, infanti, reni e altri organi umani?

Percorrere questa vecchia stanca pista paranoide della sicurezza e dell’anti-terrorismo con qualche nuovo slogan non è ciò di cui ha bisogno il Pakistan. Perché non pensare invece a un’AutoritàNazionale per la Pace? Lavorando su come combinare Legge Ordinaria e Sharia, per esempio? Su come un’immensa Comunità Centro-Asiatica potrebbe intrattenere rapporti con i suoi imponenti vicini, Russia, Cina, India? Rendendo irresistibili certe visioni inserendovi dettagli, turando falle? Il passato non ha prodotto pace, né lo faranno le politiche correnti. Può darsi il futuro.

Johan Galtung

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