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Omicidi in famiglia e armi legali
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Foto: Unsplash.com
Ancora un omicidio in famiglia. Anzi un omicidio plurimo visto che, oltre alla moglie e al figlio, sono stati uccisi anche due vicini di casa. E ancora una volta con un’arma regolarmente detenuta, stavolta da un anziano ultra ottantenne. La strage di Rivarolo Canavese solleva numerosi interrogativi sulle norme che regolano la detenzione di armi in riferimento ad un fenomeno crescente negli ultimi anni: gli omicidi in famiglia con armi legalmente detenute.
I fatti
I fatti innanzitutto: sabato scorso un pensionato di 83 anni, Renzo Tarabella, dopo aver ucciso a colpi di pistola la moglie, Maria Grazia Valovatto di 70 anni e il figlio disabile Wilson di 51 anni ha sparato e ucciso i proprietari dell’appartamento in cui viveva, Osvaldo Dighera di 74 anni e la moglie Liliana Heidempergher di 70 anni e poi ha tentato di suicidarsi. Non è ancora chiaro il motivo, ma l’arma utilizzata è una pistola semiautomatica regolarmente detenuta: nonostante la presenza del figlio affetto da disturbi psichici, l’anziano era solito tenerla in bella vista in casa sul comò del soggiorno. La figlia di Tarabella lo descrive come un “appassionato di armi”: l’anziano aveva una licenza per “tiro sportivo” dal 1978.
Gli omicidi in Italia
Secondo i dati più recenti resi noti dall’Istat (qui l’intero documento in .pdf), gli omicidi in Italia sono in costante calo dagli anni novanta, tanto da aver raggiunto nel 2019 un minimo storico e, con un tasso di 0,53 omicidi volontari ogni 100mila abitanti, l’Italia è oggi uno dei più sicuri in Europa. Permangono invece costanti gli omicidi in ambito famigliare e relazionale: sono stati più 150 nel 2019, poco meno della metà di tutti gli omicidi (315 casi). Si tratta di un problema ormai annoso che ho analizzato recensendo la principale e più autorevole ricerca in Italia che è stata condotta da Eures sugli “Omicidi in famiglia” (qui la sintesi). Ma al quale viene rivolta pochissima attenzione.
Le statistiche dell’Istat e del Viminale (qui l’ultimo rapporto sugli omicidi) non riportano un dato fondamentale: il numero di omicidi commessi con armi regolarmente detenute. Si tratta di una grave carenza dell’informazione istituzionale che andrebbe migliorata. La rilevanza delle armi legalmente detenute negli omicidi famigliari risulta infatti evidente dalle informazioni presenti nel database online dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (OPAL) di Brescia che raccoglie, da fonti pubbliche, tutti i casi di omicidi commessi da legali detentori di armi. Nel triennio 2017-19 sono stati almeno 131 gli omicidi perpetrati con armi regolarmente detenute a fronte di 91 omicidi di tipo mafioso e di 37 omicidi per furto o rapina (qui i dati Istat sugli omicidi di tipo mafioso e per furti e rapine). In altre parole, oggi in Italia è più facile essere uccisi da un legale detentore di armi che dalla mafia o dai rapinatori. La gran parte di questi omicidi avviene in famiglia e almeno uno su quattro è commesso da anziani legali detentori di armi spesso per depressione e solitudine, ma anche per rabbia e rancore.
Le norme per detenere armi
Tutto questo dovrebbe portare all’attenzione pubblica e del legislatore il problema delle norme che regolano la detenzione di armi. Contrariamente a quanto si pensa – e viene fatto credere – in Italia non è affatto difficile ottenere una licenza per armi, in particolare quella per “tiro al volo”, comunemente detta per “tiro sportivo”. A qualsiasi cittadino, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicodipendente è consentito di ottenere una licenza per armi dopo aver superato un breve esame di maneggio delle armi e un controllo da parte della Questura sui suoi precedenti penali per verificarne l’affidabilità. Dal punto di vista medico, tutto si basa su una autocertificazione controfirmata dal medico curante e una visita presso l’Asl, simile a quella per ottenere la patente di guida: non è prevista, di solito, alcuna visita specialistica, né un esame tossicologico, né una valutazione psichiatrica.
Controlli blandi e rari
Non solo: le licenze per “nulla osta” per detenere armi, così come quella per “tiro sportivo” e per la caccia hanno una validità di cinque anni, sia per un diciottenne sia per un ottuagenario. Allo scadere del quinto anno occorre presentare la domanda di rinnovo corredata da un certificato di idoneità psico-fisica rilasciato dall’Asl, ma anche in questo caso non è generalmente previsto alcun esame clinico o psichiatrico. Un periodo troppo lungo, soprattutto quando si tratta di anziani: non a caso per la patente di guida il rinnovo è previsto ogni tre anni (dai 60 ai 70 anni) e ogni due anni (dopo gli 80 anni).
Di più: in caso di mancato rinnovo entro i tempi stabiliti dalla legge non è prevista alcuna sanzione anzi, addirittura, spetta alle autorità di pubblica sicurezza notificare allo “smemorato” la necessità di presentare il certificato medico, cosa che può fare comodamente entro 60 giorni.
Un arsenale in casa
Oggi in Italia, con una semplice licenza di “nulla osta”, per “tiro sportivo” o per la caccia si è abilitati ad acquistare e detenere un ampio arsenale di armi. A seguito delle modifiche apportate nel 2018 dalla Lega di Salvini con il consenso del M5S, chiunque – anche chi non pratica alcuna disciplina sportiva o la caccia – può detenere tre pistole o revolver con caricatori fino a 20 colpi, 12 fucili semiautomatici con un numero illimitato, e senza obbligo di denuncia, di caricatori fino a 10 colpi e numero illimitato di fucili da caccia.
Sono norme fatte apposta per favorire i produttori e i rivenditori di armi: non si spiega in altro modo la possibilità di detenere un così ampio numero di armi e caricatori con un semplice “nulla osta” e ancora meno la necessità di detenere armi da caccia per chi intende praticare solo il tiro sportivo e, viceversa, di acquistare e detenere fucili semiautomatici ed altre armi classificate come “sportive” per chi intende praticare solo la caccia. Va infine notato che – come ha evidenziato un’ampia ricerca – la maggior parte di coloro che detengono la licenza per “tiro sportivo” non sono iscritti ad alcuna associazione sportiva e non praticano alcuna disciplina sportiva, nemmeno saltuariamente: questa licenza viene infatti sempre più richiesta al solo scopo di poter detenere armi in casa. E, come si è visto, permette di detenere un vero arsenale.
La politica che alimenta le paure
C’è anche un problema culturale, di fatto politico. L’anziano di Rivarolo teneva in bella vista la pistola in casa – “era il suo pallino”, racconta il genero – quasi come un monito per tutti coloro che la frequentavano. Per anni le destre ed in particolare la Lega di Salvini, cavalcando la paura dei cittadini a fronte di alcuni rari casi di omicidi per furti hanno inteso legittimare la detenzione di armi per difendere la proprietà.
Salvini lo ha fatto partecipando, anche da ministro, alla fiera delle armi di Vicenza, HIT Show per ribadire, armi in pugno, questo concetto. Il problema è che le armi in casa non risolvono la paura – di fatto infondata – dei cittadini, anzi la aggravano. Come si è visto, oggi in Italia gli omicidi commessi con armi legalmente detenute superano ampiamente quelli commessi da organizzazioni mafiose e dai rapinatori.
Che fare?
A fronte di una popolazione che sta invecchiando, spesso rancorosa, talvolta dimenticata – o che non vuole farsi aiutare – dai servizi sociali, l’arma legalmente detenuta sta diventando per molti anziani il modo più semplice per “farla finita”, con sé stessi ma anche, in modo non sempre consenziente, con la consorte e talvolta anche con i figli malati o disabili. L’aumento dei casi di omicidio-suicidio da parte di anziani, stanchi e ammalati evidenzia la necessità di affrontare, con una legge adeguata, la questione del fine vita. Si dovrebbe però, fin da subito, cominciare a regolamentare in modo più rigoroso sopratutto la detenzione di armi togliendole almeno agli anziani a rischio, rendendo obbligatori esami tossicologici e psichiatrici e incrementando i controlli su tutti i legali detentori di armi.
Ed anche migliorando le informazioni tra medici e questure: non è più possibile accettare che nell’era digitale non sia ancora stata implementata una banca-dati informatizzata per permettere ai medici di base e alle Asl di segnalare prontamente alle autorità di pubblica sicurezza quando i pazienti che sono in possesso di armi cadono in depressione o sono affetti da malattie che ne diminuiscono le capacità cognitive e li rendono instabili. La legge prevedeva l’istituzione di questa banca-dati già dieci anni fa: la stiamo ancora aspettando.
Giorgio Beretta
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Giorgio Beretta

Analista del commercio internazionale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni. Svolge la sua attività di ricerca per l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia e collabora con la Rete Pace e Disarmo. Ha pubblicato diversi studi, oltre che per l’Osservatorio Opal, anche per l’Osservatorio sul commercio delle armi (Oscar) di Ires Toscana (Istituto di ricerche economiche e sociali) della Cgil di Firenze, per l’Annuario geopolitico della pace di Venezia e numerosi contributi, anche sul rapporto tra finanza e armamenti, per diverse riviste e quotidiani nazionali.