Non toccare! Anzi sì, perché sei al Museo Omero

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Foto: Pexels.com

Si parla di inclusività molto più spesso di una volta. Si pratica? Mah, insomma. A farci caso, ci sono ancora tantissimi passi avanti che siamo chiamati a fare, su troppi fronti. Uno che poco si considera è quello della cultura, in teoria accessibile a tutti ma in pratica… non tanto.

Si pensi per esempio a quante sedi museali sono ancora sprovviste di accorgimenti minimi utili alla massima fruizione possibile delle proprie opportunità esplorative. E non si tratta solo di toilette dedicate a persone con disabilità, ormai sdoganate come se tutto si limitasse a quel tipo di bisogno. Si tratta essenzialmente di abbattere barriere fisiche, cognitive e sensoriali a favore di nuove prospettive, dalla cartellonistica multilingue, braille compreso, alle visite guidate in tandem, dagli accompagnamenti dedicati a spazi espositivi adeguati, dalla segnaletica non solo visiva ad allestimenti che vengano incontro a differenze che arricchiscono tutti, anziché impoverire solo alcuni.

Molte realtà – anche a fronte di consistenti finanziamenti europei che sostengono questo tipo di adeguamenti – dovranno rapidamente aggiornarsi per restare non solo al passo con i tempi, ma anche in un circuito di esempi virtuosi della società che è presente nei fatti e dovrà essere futura nelle pratiche. Alcuni enti si stanno già muovendo in questa direzione. Uno di questi porta l’esperienza perfino oltre. È il Museo Omero, pensato nel 1985 da due coniugi non vedenti – Aldo Grassini e Daniela Bottegoni –, precursori di un’idea che è oggi più che mai attuale: un museo tattile, che desse la possibilità di interagire in maniera libera con riproduzioni in gesso o resina di grandi capolavori, riproduzioni in miniatura di capolavori dell’architettura, galleria delle mimiche facciali delle emozioni umane e opere originali contemporanee.

Il Museo, che si trova ad Ancona nella sede della Mole Vanvitelliana al centro del porto cittadino, è attivo ormai da oltre trent’anni, dedicato al presunto autore di due classici greci che, anche lui, era raffigurato come cieco. Contiene 150 opere che si possono toccare, esplorare con le mani, sentire: un’esperienza che fa bene a tutti, non solo a chi non vede. Perché l’arte è fatta di sensi, tutti, non solo la vista. Se ci sono opere che è corretto non poter toccare per motivi legati alla conservazione o a materiali particolarmente delicati e deperibili, non sempre questo divieto è motivato e sottrae una possibilità esperienziale che, se per i non vedenti è fondamentale, per i vedenti è di certo arricchente. E uno dei primi inviti del Museo era decisamente esplicito in questo senso: “non è vietato toccare, ma non è vietato nemmeno guardare”. Una porta aperta a tutti, come dovrebbe essere la cultura ovunque, per vivere esperienze estetiche – e sappiamo bene quanto la bellezza sia elemento imprescindibile per sopravvivere a questo mondo afflitto da troppe sofferenze – che permettano di cogliere e apprezzare in maniera più profonda quello che ci circonda. 

Il Museo Omero diventa contraltare ideale al Museo Tattile Anteros di Bologna, che si è invece specializzato in copie in bassorilievo di dipinti: una sinergia che permette di diversificare le esperienze e di completarle a vicenda, a volte con collaborazioni che vanno anche oltre i confini nazionali (una copia della Nike di Samotracia, per esempio, è stata donata dal Louvre di Parigi). Quando è stato inaugurato, il Museo Omero era unico a livello mondiale, e ancora oggi resta un punto di riferimento internazionale in questo ambito. Perché osservare il mondo a partire dal tatto è una cosa che si può anche imparare, o meglio re-imparare: è uno tra i primi sensi che ciascuno di noi utilizza fin dall’infanzia per conoscere sé e l’altro da sé, un senso attivo che se siamo già abituati a utilizzare per necessità o per volontà, ma che dobbiamo ricordarci di allenare a restituirci emozioni – e immagini – che abbiamo dimenticato come condividere.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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