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Qualche giorno fa mi è capitato di inciampare in un tweet di Spinoza.it, una tra le tante stilettate in pillole che provocano un sorriso triste sul volto del lettore, ma che ha particolarmente destato la mia attenzione. Si prendeva atto di come, a condivisione della recente vittoria di Syriza alle elezioni di domenica 25 gennaio, “Il trionfo di Tsipras in Grecia” fosse “il più grande successo della sinistra italiana dai tempi di Zapatero in Spagna”.
Con un’incisività sferzante e una dote di sintesi invidiabile, questo aforisma dell’assurdo-che-così-assurdo-non-è avvicina alla sensazione che si prova nel leggere le parole che hanno accompagnato, e che ancora oggi sono spesso rilanciate sui media vicini a posizioni di “decrescita”, il ritiro dalla scena politica uruguaiana di Jose Mujica. Fateci caso, sembrano spesso più un rammaricato epitaffio che un articolo di cronaca o di analisi.
Dalle parole trapela quell’inclinazione molto italiana a guardare più spesso nell’orto del vicino anziché coltivare con determinazione il proprio, tentazione che si manifesta ogni volta che un leader di un altro Paese, quasi come un calciatore, fa sognare le tifoserie della penisola. Queste, smembrate su posizioni sempre più parcellizzate, se da un lato ci illudono di rappresentare le molte individualità di cui è costituito l’italico popolo, dall’altro ci privano di quell’agone politico che ci ritroviamo allora a invidiare ad altri, non solo per le modalità e per i contenuti, ma soprattutto per quella sensazione che, al di là dell’anagrafica dei volti, ci racconta di cambiamenti che per noi rimangono, ancora, impensabili.
Da questo punto di vista, l’esperienza di Mujica è significativa sotto più punti di vista: il tempo, l’etica politica, la coerenza. Partiamo dal tempo - poco: cinque anni di presidenza e nessuna forzatura alle leggi e alle volontà per rimanere oltre il mandato al governo del proprio Paese. Si ritira a vita privata senza amarezze, senza per questo giocare una ripicca allo Stato, senza suppliche per restare a occupare quel ruolo di potere a cui è così facile affezionarsi, senza aggiustamenti e ridicole uscite teatrali che dalla quinta destra permettano di rientrare sul palco, ipocritamente eppure trionfalmente, dal lato sinistro.
Combinato al tempo, il secondo aspetto da valorizzare: la fermezza nelle decisioni e la consecutio logica tra provvedimenti e azioni. Dalla riduzione della povertà estrema dal 5 allo 0,5% alla copertura di più del 30% del fabbisogno energetico del Paese grazie all’utilizzo di fonti rinnovabili; dall’introduzione dei matrimoni fra omosessuali alla legalizzazione dell’aborto e della vendita di marijuana per ridurne il traffico illegale, alle campagne per sostituire le armi con le biciclette. L’occhio attento e vigile di Mujica sulla necessità di tutela ambientale e sociale lo ha portato, dall’anno di elezione nel 2009, a trasformare radicalmente l’Uruguay in un Paese dove in molti abbiamo desiderato di poter vivere - e vivere bene.
Una trasformazione che però non ha affatto cambiato il promotore. Dopo aver rifiutato di trasferirsi nella lussuosa residenza presidenziale motivando la sua scelta con parole schiette e molto più scandalose delle male parole e delle sgrammaticature che ormai fanno da intercalare alla politica cui ci siamo abituati, Mujica ha devoluto il 90% del suo compenso mensile ad associazioni caritatevoli, ha continuato a guidare la sua Volkswagen malridotta, non ha smesso di occuparsi del suo cane e di curare il suo orto. Come uno qualsiasi dei cittadini che rappresentava e che meglio di chiunque altro provava a capire.
La recente notizia dell’uscita di un libro, edito da EIR, dall’efficace titolo La felicità al potere ci aiuterà sicuramente a conoscere e apprezzare ancora di più la personalità di quest’uomo. E’ però forse proprio la sua coerenza, che nel mondo lo ha reso famoso quasi più delle virtuose politiche attuate, che in noi genera una profonda perplessità, originata in parte dall’esasperazione partitica e in parte dalle speranze malriposte in mutamenti fino ad ora messi in moto, ahinoi, per lo più in altri Paesi! A stupire è per lo meno un aspetto singolare, ovvero il fatto che in una persona eletta a favore della salvaguardia delle istituzioni e del ben-essere della popolazione - e quindi presumibilmente ritenuta degna di questo compito per le proprie doti politiche e umane - la coerenza ci sorprenda ancora come tratto caratteriale e professionale atipico. E’ però purtroppo l’evidenza della scena politica nazionale e internazionale a darci un segnale inequivocabile: si tratta di una virtù pregiata, se non di un raro sentimento da collezione alla portata di pochi.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.