www.unimondo.org/Notizie/Myanmar-minoranza-mussulmana-al-limite-dell-apartheid-141175
Myanmar: minoranza mussulmana al limite dell’apartheid
Notizie
Stampa
La prima ondata di disordini nel nord dello stato di Rakhine in Myanmar è iniziata l’8 giugno dello scorso anno e ha provocato la fuga di 75mila persone. Altre 36mila sono state costrette a lasciare le proprie case a seguito di una seconda ondata di tumulti nel mese di ottobre. Dopo un anno di violenza reciproca tra le comunità Rohingya musulmana e quella Rakhine buddista sono più di 140mila le persone sfollate e non si intravede la fine delle violenze e di una discriminazione su base religiosa della minoranza Rohingya, una situazione che per l’Associazione Popoli Minacciati(Apm) viola la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e i più elementari fondamenti della Carta delle Nazioni Unite. Per l’Apm, infatti, “la discriminazione della popolazione di fede musulmana in atto in Myanmar è al limite dell’apartheid e certo non degna di uno stato che si definisce di diritto e che, per l’impegno democratico della leadership birmana durante gli ultimi due anni, cercava un riconoscimento internazionale” arrivato lo scorso 22 aprile dal consiglio dei ministri degli esteri europei con l’abrogazione delle sanzioni verso il Governo adottate nel 1996 e sospese temporaneamente solo il 4 aprile scorso.
Se alcune aperture democratiche sono innegabili, il tema delle minoranze etniche rimane da sempre nel Paese un tema caldo (tristemente nota è la lunga guerra con la minoranza Karen) e non certo a prova di diritti umani. Solo lo scorso mese, infatti, le autorità birmane hanno disposto che in due regioni settentrionali del paese le famiglie appartenenti alla minoranza dei Rohingya di fede musulmana possano avere solo due figli. Per l’Apm, che ha presentato un reclamo al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, “La nuova politica birmana dei due figli disposta unicamente per le persone appartenenti a una minoranza è un fatto inaudito. Anche la Cina limita il potere decisionale delle famiglie imponendo la sua politica del figlio unico, ma da questa imposizione sono esclusi proprio le minoranze come Tibetani, Uiguri e altre minoranze etniche del paese. La Birmania invece giustifica la sua disposizione discriminante sostenendo di trovarsi di fronte a una crescita eccezionalmente alta della popolazione tra i Rohingya”. Secondo fonti locali vicini all’Apm questa pesante e pericolosa violazione dei diritti umani sembrerebbe invece una concessione dell’autorità ai gruppi buddisti radicali “che non farà altro che inasprire ulteriormente i conflitti e la violenza tra Buddisti e Musulmani” ha spiegato l’Apm, “perché di fatto non esistono dati credibili sulla presunta crescita eccessiva della popolazione tra i Rohingya”.
Come se non bastasse secondo le informazioni dell’Apm, lo scorso 28 maggio la città di Lashio nello stato settentrionale di Shan è stato scenario di nuove aggressioni a danno della minoranza musulmana. Gruppi di Buddisti radicali hanno dato fuoco a una moschea, a una scuola musulmana, a un orfanotrofio e a diversi esercizi commerciali gestiti da musulmani. “Se le autorità birmane vogliono evitare un pericoloso allargarsi delle violenze devono immediatamente porre termine agli attacchi dei Buddisti radicali contro tutti coloro che professano fedi diverse” ha concluso l’Apm.
Intanto l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) la scorsa settimana ha rinnovato l’offerta di fornire sostegno tecnico al governo del Myanmar, al fine di registrare tutti gli sfollati interni e di promuovere la riconciliazione, in modo che le persone possano finalmente rientrare volontariamente nei propri luoghi d'origine in maniera sicura e sostenibile. “Molte altre persone oltre a Rohingya e Rakhine, seppur non direttamente colpite dalla violenza, - si legge in una nota dell’Unhcr - hanno perso i propri mezzi di sostentamento a causa degli scontri e sono stati costretti a lasciare le proprie case per cercare assistenza. Molti bambini sfollati, inoltre, non frequentano la scuola da un anno". Ancora oggi intorno alla capitale Sittwe circa 13mila persone vivono accampate in insediamenti di fortuna, così come altre 2.800 a Maungdaw. Questi gruppi non sono però formalmente riconosciuti come sfollati dalle autorità e pertanto fino ad adesso non hanno ricevuto assistenza in maniera sistematica.
Nell'ultimo anno l'Agenzia dell’Onu ha distribuito aiuti come teli di plastica, materassi e utensili per cucinare a 75mila sfollati. Come integrazione al programma governativo per gli sfollati sono stati poi forniti tende e alloggi temporanei o permanenti a 45mila persone, mentre sono in costruzione alloggi aggiuntivi per 25mila sfollati nei distretti di Pauktaw e Myebon, regioni a rischio di inondazioni durante la stagione delle piogge. Non sempre però il tentativo umanitario di garantire che i profughi ricevano adeguate forniture di acqua, impianti igienico-sanitari e servizi medici va a buon fine. “In alcune aree ciò si è rivelato difficile, con operatori umanitari vittime di vessazioni e minacce e sfollati impossibilitati a spostarsi liberamente per accedere ai servizi di base” ha spiegato l’Unhcr. Per questo se al momento l'assistenza umanitaria resta prioritaria, l’Agenzia “continua a fare pressione sul Governo nel tentativo di promuovere il dialogo e la coesistenza pacifica tra le comunità come premessa necessaria per il ritorno volontario degli sfollati”. Ciò potrebbe avvenire facilitando la libertà di movimento, le opportunità di sostentamento e l'accesso ai diritti e ai servizi fondamentali. Ulteriori misure dovrebbero poi essere intraprese al fine di regolarizzare lo status legale a coloro che ne hanno titolo come i Rohingya: una comunità che il Governo considera immigrati clandestini del Bangladesh, anche se molte famiglie hanno vissuto per generazioni in Myanmar e potrebbero rientrare a pieno titolo nelle etnie del Paese.
L'Unhcr, che si è dichiarato “pronto a fornire assistenza tecnica nell’affrontare le questioni relative alla mancanza di cittadinanza”, ha inoltre rivolto un appello ai governi degli stati della regione affinché “tengano aperte le proprie frontiere alle persone bisognose di protezione internazionale”. Dallo scorso giugno oltre 27mila persone, in maggioranza originarie proprio dello stato di Rakhine, si sono imbarcate in rischiosi viaggi dal Golfo del Bengala in cerca di sicurezza stabilità in altri paesi. “In tanti hanno perso la vita in queste traversate - ha concluso l’Unhcr - Molti sono sopravvissuti a settimane di deriva in mare aperto con scarsissime riserve di cibo e acqua. Alcuni poi sarebbero stati respinti dalle coste degli stati limitrofi, mentre altri sarebbero stati posti in detenzione al loro arrivo negli stati dell’Asia sud-orientale”. Da gennaio, per avere un quadro più preciso del tipo di esigenze umanitarie e di protezione di questi rifugiati, il personale dell’agenzia Onu ha incontrato donne, bambini e uomini rifugiati in centri di accoglienza o trattenuti in centri di detenzione per migranti prevalentemente nel sud della Tailandia.
Ma anche l’appoggio internazionale purtroppo sembra avere un limite. Non certo quello religioso, ma quello dei fondi. Per coprire fino alla fine dell'anno le necessità delle persone che rientrano nel mandato dell’Unhcr nel Myanmar, tra cui anche gli sfollati del Rakhine, l’Agenzia ha inoltrato una richiesta per 80 milioni di dollari USA, a fronte della quale tuttavia finora sono pervenuti contributi solo per il 18% di tale somma.
Commenti
Log in or create a user account to comment.