www.unimondo.org/Notizie/Birmania-l-UE-toglie-le-sanzioni-ma-restano-le-criticita-140515
Birmania, l’UE toglie le sanzioni ma restano le criticità
Notizie
Stampa
Lunedì 22 aprile il consiglio dei ministri degli esteri europei ha abrogato le sanzioni verso il governo birmano adottate nel 1996 e sospese temporaneamente il 4 aprile scorso. A Lussemburgo Marta Dassù ha rappresentato l’Italia che, in accordo con lo schieramento dei 27, ha approvato questa scelta. “Il riconoscere aperture democratiche” e “l’impegno della leadership birmana negli ultimi due anni”, sono state le principali giustificazioni che all’unanimità hanno portato l’Europa a questa decisione.
Cosa significa svincolare la Birmania dalle sanzioni? Eccetto l’embargo sulle armi
che è rimasto tale, le aperture sminano un territorio fertile per facilitare i commerci, rafforzando in questo modo il “povero” stato asiatico. Se si professa la religione del PIL allora un maggior laissez faire nei commerci di legname e pietre preziose – cavalli di battaglia birmani – è indubbiamente la via da percorre. Ma se davvero fosse questa la strada perfetta – ammesso che ce ne sia solo una di giusta – allora la motivazione dell’abrogazione delle sanzioni gioverebbe solo la parte “più povera” o sarebbe una palla in buca per entrambe le parti in gioco?
Parlare e informare su pace e diritti umani significa contribuire a definire la loro identità, divulgandone appartenenza e rappresentazione. La linea che divide una retorica moralista da un’attenta analisi dei fatti è spesso molto debole e il rischio è quello di minare la loro dinamicità a fronte dei rapidi mutamenti globali, impoverendo questi due contenitori linguistici dal loro profondo significato.
Mentre da Bruxelles si dava fiducia al leader birmano Thein Sein, da Bangkok Human Right Watch accusava il governo per aver sostenuto “la pulizia etnica” contro la minoranza mussulmana Rohingya a ovest del paese. La nota associazione ha presentato un rapporto a testimoniare gli abusi, ma le notizie non si fermano solo a documenti istituzionali: pochi giorni fa la bbc ha reso pubblico un video che testimonia questa violenza della “caccia contro i mussulmani”. Tre minuti che non sono verità assoluta, ma che ci dovrebbero guidare – mi auguro – attraverso una consapevolezza sulla precaria divisione fra giusto e sbagliato.
Ogni individuo sa che per vedersi allo specchio ci si deve riflettere, non a caso dal 2011 (anno in cui Thien Sein è salito al potere promettendo passi verso la democrazia), l’aiuto europeo è duplicato per un totale di circa 150 milioni di Euro. Contemporanemente da Rangoon le notizie sono di centinaia di prigionieri politici rilasciati. In questo gioco di una nuova Birmania civile non si capisce bene chi tiene il bastone con appesa la carota: con l’ultima mossa la penna europea ha concesso maggior libertà commerciali a circa 800 compagnie, ha permesso nuovi movimenti agli investimenti europei e ha liberato alcuni ufficiali in passato interdetti.
Dall’altra parte la storia del lungo legno che sorregge il pasto del coniglio è narrata dal numero elevato di prigionieri non ancora liberati, dalla brutale situazione della minoranza mussulmana sopra citata, dal conflitto aperto e irrisolto nella regione del Kachin e dal numero impensabile – da prospettive europee – di profughi costretti a vivere fuori confine.
L’elenco delle violazioni è lungo, lungi da scorrerlo tutto è però doveroso riflettere sui passi che il nostro consiglio europeo sta facendo. Nella recente visita italiana il Dalai Lama disse che “essere solidali, sostenere il Tibet così come tante altre realtà, significa sostenere la giustizia, la parte onesta e la verità”. Da Lussemburgo le parole sono state “che la popolazione della Birmania vuole democrazia, pace e prosperità” e che l’Europa è pronta per sostenere questa causa.
A questo punto non resta che una domanda: cosa significano per “noi” parole come democrazia, pace e prosperità in un nuovo secolo che, per utilizzare u’altra volta le parole del Dalai Lama, ha lasciato alle spalle quello vecchio dei conflitti per essere il Millennio del dialogo?
È sufficiente, almeno così sembra, dire che un governo sia “civile” e non “militare” per iniziare a concedergli fiducia? Viene spontaneo chiedersi se quella richiesta di amicizia proveniente dall’ex autocrazia potrebbe essere soprattutto uno spiraglio verso una cooperazione capace di aiutare anche “noi”.
Le domande potrebbero protrarsi all’infinito, di risposte – per adesso – una sola: la Birmania deve fermare gli abusi e non vi è giustificazione alcuna a quello che sta succedendo, ma il cambiamento deve prima di ogni altra cosa avvenire qui, nel noi Europa, noi Italia, noi individuo e società.
Commenti
Log in or create a user account to comment.