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Meno api, più miele: cosa succede?
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Foto: Unsplash.com
Dalla Cina arriva ormai ogni cosa: elettrodomestici, vestiti, dispositivi elettronici, lavoratori, pezzi di ricambio (se ancora ne esistono), scarpe e pandemie. La chiusura momentanea di comunicazioni e trasporti, lo abbiamo visto, ha messo in ginocchio il mondo intero, cui improvvisamente è venuto a mancare tutto, o quasi. Le conseguenze di una globalizzazione al ribasso per qualità e diritti sono solo in parte visibili, e quello che vediamo ci piace poco, molto poco. Ora più che mai sarebbe il momento di valorizzare filiere più vicine, per la produzione di oggetti, ma anche per la produzione di cibo. Perché nonostante l’Italia sia un Paese con inimmaginabili risorse agricole e un potenziale di eccellenze espresso con timidezza, l’importazione sembra ciò nonostante più conveniente, semplice, economica. Ecco quindi che dalla Cina arriva anche cibo, rendendo sempre più complicata non solo la tracciabilità dei prodotti (che non sono praticamente mai esito di una filiera equa) ma anche la definizione di standard di qualità.
Questa volta tocca al miele. Lo sanno anche i più piccoli, sono le api le preziose alleate per la sopravvivenza e le artefici dell’oro della tavola. O no? In effetti, non sempre a quanto pare. La Confederazione italiana agricoltori (CIA) lancia l’allarme: dalla Cina è in arrivo un miele prodotto senza api e senza alveare, in fabbrica. Un miele a costi esigui, che metterà a tappeto la concorrenza (il prezzo al Kg in Italia è di 3,99 euro, le previsioni per la vendita di questa miscela sono a meno della metà) e che non avrà nemmeno il coraggio di presentarsi per quello che è, miscelando invece una parte di miele prodotto naturalmente per mascherare la contraffazione a base di sciroppo di zucchero o di riso, usato in miscela o perfino per nutrire le api durante la produzione di un miele che viene raccolto acerbo e poi lavorato industrialmente. Il tutto, senza rispettare le normative europee che ne disciplinano le caratteristiche di produzione e contenuto e senza rispettare le necessarie tempistiche (per esempio per la deumidificazione e la maturazione) che fanno delle api lavoratrici infaticabili e insostituibili. Insomma, dopo latte e olio d’oliva, il miele è il terzo alimento più alterato al mondo.
Male di miele, cantavano gli Afterhours. In effetti per l’Europa si tratta davvero di un male con cui fare i conti, e non solo a partire da adesso. Già nel 2016 si alzavano le voci contrarie all’invasione di miele cinese, con standard di produzione, qualità e anche di etichettatura che non sono conformi a quelli del Vecchio Continente e non tracciano la filiera delle materie prime. Eppure in Europa (che pure ha una direttiva chiara per definire univocamente il miele, la 2011/110/CE), se da un lato assistiamo a una tragica moria di api che da 20 anni sta seguendo una curva preoccupante, contemporaneamente prendiamo atto di una richiesta sempre più pressante di miele che la rende, anche su questo fronte, non in grado di garantire la propria autosufficienza e quindi la costringe a un’importazione che si aggira intorno al 40% del fabbisogno. Dati confermati anche da studi scientifici, come quello pubblicato sul Bulletin of Insectology dell’Università di Harvard nel 2014. Gli insetticidi fanno strage di insetti impollinatori, gli alveari si spopolano secondo un fenomeno chiamato Colony collapse disorder: le api adulte lasciano l’alveare durante l’inverno e vanno a morire, comportamento che invece non viene rilevato negli alveari non sottoposti a stress da irrorazione. Sono rilevazioni confermate anche in anni più recenti (EFSA, 2018) che continuano a rilevare come i neonicotinoidi, messi finalmente al bando in Europa nel 2018, causino danni irreparabili alle colonie di api. Che però non trovano così una soluzione sufficiente alle minacce che devono affrontare: prodotti tossici immessi in natura, cambiamenti climatici, ondate sempre più importanti di siccità, inquinamento e incendi sono solo alcune delle cause dello spopolamento degli alveari.
Ecco perché la Cina in questo scenario gioca un ruolo cruciale: dati FAO segnalano che tra il 2000 e il 2014 nel Paese la produzione di miele aumentava di quasi il 90%, non accusando un contraccolpo che invece l’Europa doveva fronteggiare. Sono cifre che non possiamo fare a meno di guardare con sospetto, considerando cha la moria degli sciami non riguarda però solo il Vecchio Continente e che non si può certo definire la Cina un Paese green che pratichi politiche di tutela ambientale favorendo lo sviluppo dell’agricoltura biologica rispetto a quella intensiva.
In questo ginepraio noi possiamo fare più di qualcosa, perché è una di quelle occasioni nelle quali utilizzare il nostro potere di acquisto e farlo valere: apicoltori vicino casa o aziende di fiducia, o miele tracciabile nei diritti e nelle materie prime come quello del commercio equo e solidale sono la chiave di accesso a un’economia di rispetto, prossimità e qualità. Non si tratta di immaginare un futuro di api robotiche in sostituzione di quelle reali (di cui vi avevamo già parlato qui); né di lavorare per produrre hamburger stampati in 3D pur di non rinunciare a una dieta sovraffollata di carne; né di accettare senza potersi opporre commerci senza confini e senza controlli. Si tratta di darsi da fare con un piccolo contributo per evitare queste derive che sembrano sempre meno proiezioni e sempre più concrete possibilità a breve termine: perché, diciamolo, un futuro artificiale e spregiudicato non è quello che dobbiamo abituarci a immaginare, o a desiderare.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.