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La tassonomia del disastro
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Foto: David Griffiths da Unsplash.com
Lo scorso 6 Luglio il Parlamento europeo ha bocciato la mozione per l’esclusione di nucleare e gas fossile dalla Tassonomia Verde Europea, dopo che l’inclusione era stata proposta dalla Commissione Europea il 9 Marzo su spinta di una parte dei paesi membri.
Fridays For Future ed Extinction Rebellion per mesi si son mobilitati contro l’inclusione, e negli ultimi quattro anni in tutto il mondo hanno mobilitato milioni di giovani contro il breakdown ambientale con scioperi, manifestazioni e azioni dirette. Questa sconfitta segna uno spartiacque: per la prima volta in Europa si va oltre la semplice «misura insufficiente» riconoscendo esplicitamente come «sostenibile» una fonte fossile, aprendo di conseguenza al finanziamento Ue come fonte «green». Vi è poi il riconoscimento di una tecnologia controversa come la fissione nucleare, poco applicabile e flessibile per la transizione energetica visti i tempi brevi in gioco.
Questo voto nel complesso segnala un restringimento di spazio di manovra istituzionale per il movimento ambientalista, una porta in faccia che esplicita una drastica riduzione delle probabilità di avanzamenti graduali nei palazzi della politica. Tutto ciò avviene in un momento molto particolare per il movimento, data l’impasse causata dalla pandemia e da limiti strutturali, nonostante la grande generosità e crescita dimostrata in pochi anni. Quindi viene da chiedersi quali scenari e opzioni strategiche si profilino per il futuro, visto anche il poco tempo rimasto prima del punto di non-ritorno. Il breakdown ambientale difatti si sta manifestando velocemente con sempre più violenza, tra siccità, ghiacciai secolari che collassano e incendi, soltanto per citare alcuni esempi. Data la molteplicità di aspetti, occorre affrontare la natura del problema tenendo conto di tutta la sua complessità politica e tecnico-scientifica, a partire dalle fonti contestate dal movimento ecologista.
Il gas fossile… della transizione fuori dal fossile
Se si assume di voler agire solamente cambiando il tipo di fonti energetiche – lasciando inalterate le fondamenta del sistema economico e produttivo – ci si imbatte immediatamente in problemi tecnici enormi. Non intaccare le fondamenta del capitalismo implica non mettere in discussione le contraddizioni del mercato e il primato della massimizzazione del profitto su tutto, inclusa la compatibilità ecologica. Ciò implica il dover produrre molta più energia di quella che ci servirebbe per non far mancare luce e produzione di beni, oltre che la continuità dei servizi. Ma le fonti rinnovabili hanno problemi di potenza energetica se paragonate con il fossile e il nucleare e molte possono essere soggette a intermittenza. Il nucleare e il gas naturale sono proposti proprio per affrontare queste insufficienze tecniche senza intaccare le inefficienze strutturali del capitalismo, con il gas da utilizzarsi solo nella fase di transizione. Per quanto riguarda quest’ultimo, la tesi della sua presunta «sostenibilità» si basa sulle minori emissioni di anidride carbonica se si confronta con la combustione di petrolio o carbone. Ci sono però delle enormi problematiche che vengono fortemente sottovalutate, da cui derivano tutte le polemiche sull’argomento.
Per quanto riguarda la transitorietà del gas c’è una contraddizione con i tempi in gioco, dato che si tratterebbe di costruire un’infrastruttura da smantellare a sua volta in tempi abbastanza brevi. Viene spontaneo chiedersi se i produttori di gas siano disposti a dismettere gli impianti prima della conclusione del loro tempo di esercizio e dell’ammortamento dell’investimento. Dato che si parla di decine di anni, e vista anche la sete di profitto di chi ci investe, i movimenti ecologisti giustamente sostengono che la proposta del gas fossile «transitorio» sia un subdolo tentativo di far sopravvivere l’industria fossile...