La 'Social card', un anno dopo

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Sul finire dell’anno scorso erano state distribuite le prime Social card. Ricordiamo ancora le persone anziane, in coda agli uffici postali, o presso i patronati e i caf, senza tralasciare coloro che andavano direttamente all’Inps nella speranza di ottenere direttamente qualcosa.

La Social card, o meglio, la “Carta acquisti”, per usare l’espressione della legge, è una tessera tipo bancomat, che viene data, a richiesta, ai cittadini ultrasessantacinquenni titolari di redditi particolarmente bassi, o alle famiglie, anch’esse con redditi bassi, all’interno delle quali vi siano bambini al di sotto dei 3 anni. Ogni due mesi vengono accreditati 80 euro che possono essere spesi per fare acquisti nei negozi che espongono il marchio della “carta acquisti”: per lo più supermercati e grandi centri commerciali.

Era stata predisposta una macchina organizzativa che avrebbe dovuto portare, secondo il Governo, a distribuire la card a 1.300.000 persone, per una spesa complessiva di 450 milioni di euro. Ma a un anno di distanza le card attive sono circa 570.000, e della somma stanziata ne è stata spesa poco più della metà. Erano sbagliati i conti del governo o gli italiani non sono poi così poveri?

Secondo un’indagine Istat dello scorso 30 luglio, nell’anno 2008 potevano essere considerate in condizione di povertà relativa poco più di 8 milioni di persone, pari al 13,6% dell’intera popolazione. La medesima indagine calcola che nello stesso anno 2008 quasi 3 milioni di persone (4,9% della popolazione), concentrate in poco più di 1 milione di famiglie, vivessero al di sotto della soglia definita di povertà assoluta, che rappresenta la spesa minima necessaria per acquisire determinati beni e servizi considerati essenziali, sulla base di un calcolo che considera la dimensione della famiglia, la sua composizione per età, la ripartizione geografica e la dimensione del comune di residenza: secondo i dati Istat i poveri dunque ci sono, e costituiscono più del 18% della popolazione.

Resta da spiegare perché la scelta del Governo, pur indirizzata a sostenere il reddito degli anziani e delle famiglie con bambini molto piccoli, non ha trovato la diffusione per la quale era stata programmata. Se appare difficile pensare che il Governo non disponga di dati attendibili, si può solo concludere che da parte di chi ne avesse diritto non siano state attivate le procedure per ottenere la “carta”: e se questo è vero, è opportuno domandarsi il perché.

Secondo alcuni hanno avuto un effetto dissuasore le procedure complesse per accedere alla social card, mentre, secondo altri, è stata la vergogna di sentirsi additati come poveri nel momento in cui, alle casse dei supermercati, si doveva esibire pubblicamente una tessera che certificava la condizione di povertà.

«Nessuno abbia la puzza sotto il naso per 40 euro al mese»: ha detto recentemente il Ministro Sacconi, annunciando che è allo studio l’ampliamento del numero dei beneficiari. Forse più che di ampliamento, sarebbe bene che lo studio cercasse di capire almeno come raggiungere quel 1.300.000 persone che secondo il governo avrebbe dovuto utilizzare la “card”, e perché non sono stati spesi ancora tutti i denari che si erano messi in bilancio.

E tra i denari spesi occorre evidenziare i costi dell’operazione, che secondo un’interpellanza presentata da alcuni senatori (primo firmatario il sen. Giorgio Roilo), si aggirerebbero attorno ai 20 milioni. Se così fosse, sarebbe stato meno dispendioso destinare la somma stanziata per aumentare le pensioni di importo molto basso e gli assegni familiari per le famiglie con bambini piccoli.

Non è semplice attuare politiche di contrasto alla povertà che raggiungano chi effettivamente vive in condizioni di indigenza. Per favorire l’inclusione sociale non serve accrescere gli adempimenti burocratici, occorre invece coinvolgere attivamente chi è prossimo alle povertà e, in particolare, le associazioni di terzo settore, che lavorando sul territorio sono particolarmente idonee a interpretare la “domanda sociale”, anche inespressa, e a individuare gli strumenti più adatti perché chi ha bisogno possa ottenere senza dover subire l’umiliazione di chiedere.

Giuseppe Argentino

Fonte: Aesse 11/12 2009

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