La Fortezza Europa: quel muro oltre il quale non riusciamo a vedere

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Nell'agosto del 1941, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, confinati sull'isola di Ventotene poiché antifascisti, scrivevano del loro sogno di un'Europa unita, libera dai totalitarismi e dal morbo della guerra che da ormai tre decenni aveva infestato il Vecchio Continente. Per un'Europa libera e unita. Progetto d'un manifesto. Questo era il titolo originario della loro opera, oggi comunemente conosciuta come il Manifesto di Ventotene, pubblicata  con l'aiuto di Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann. Erano menti illuminate, lungimiranti, che vedevano nella nascita di uno stato sovranazionale europeo il superamento dell'equilibrio prebellico, basato su vecchi organismi statali e gelosie nazionali che avevano gettato il continente in uno dei periodi più bui della sua storia. Una rivoluzione europea socialista, capace di restituire condizioni di vita più umane e dignità ad un popolo che tanto aveva sofferto.

Di quella lungimiranza, pare che poco sia rimasto oggigiorno. Il sogno di un' Europa unita e libera, portatrice di diritti ed esemplare modello di democrazia si sta frantumando tragicamente. Si sta frantumando nell'estenuante caparbietà con la quale si pretende che la Grecia accetti di ingerire per l'ennesima volta l'amara medicina della Troika, con l'attuazione di riforme strutturali e aggiustamenti di bilancio. Si sta sbriciolando di fronte alle trattative intraprese con gli Stati Uniti per l'approvazione del TTIP, il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, fortemente voluto dai nostri vertici, ma profondamente criticato da vari economisti per i rischi che questo trattato di libero commercio porterebbe, quali l'abbassamento per esempio degli standard qualitativi nell'industria alimentare. E si sta frantumando nei volti di quelle persone in fuga da un continente qual è l'Africa, che è stato per secoli sfruttato dall'Europa stessa, e che ora si trova a rifiutare i suoi abitanti poiché ormai incapace di provvedere alla loro sopravvivenza. E l'Europa democratica, libera e unita, non è in grado di accoglierli. Il populismo demagogico dei nostri giorni, dimentica l'orrore e le parole di Primo Levi, che nella sua poesia Shemà, denunciando la disumanità dei campi di sterminio  nazisti, invitava a meditare su quanto era accaduto, comandando il lettore a scolpire nel proprio cuore le sue parole.

E' proprio la disumanità attuale che spaventa, o almeno dovrebbe spaventare. L'Ungheria vuole innalzare un muro per fermare le migrazioni. I partiti xenofobi e razzisti europei, che con disonestà sconcertante non si definiscono come tali, creano un'alleanza chiamata “Europa delle Nazioni e della Libertà”, quasi a dimenticare quei padri fondatori che speravano l'Europa potesse diventare luogo di superamento dei nazionalismi più beceri. Sono 37 gli eurodeputati, provenienti da Paesi diversi, che si sono riuniti il 16 giugno scorso, fondando una coalizione per contrastare con fermezza, tra le altre cose, l'apertura dei confini a coloro che scappano dalla fame. E allora una domanda sorge spontanea, come si può respingere e rimandare al mittente colui o colei che fugge da morte certa, solo perché questa non è provocata da una guerra, ma dalla mancanza, per esempio, di terre fertili e risorse idriche non inquinate? Il cuore del problema sta proprio nella superficialità con la quale la questione viene analizzata e affrontata. Ma facciamo un passo indietro. 

La Convenzione sullo statuto dei rifugiati , conclusa a Ginevra il 28 luglio 1951, definisce rifugiato «Colui che, (...) temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese...» (articolo 1A). Da questa definizione giuridica appare chiaro come, la Comunità internazionale si impegnò a proteggere coloro che fuggivano per ragioni prettamente politiche dal loro paese di origine. Se per il 1951 questo trattato poteva essere considerato come progressista, oggi purtroppo non riesce a rispondere alle esigenze di quei milioni di persone che sono costrette a lasciare le loro terre per motivi che esulano da quelli sopra descritti. L'attuale superficialità del dibattito migratorio sta nel non rendersi conto, o nel fingere di non farlo, che le cause elencate a Ginevra non sono le uniche che spingono una persona a fuggire e che quindi servono ulteriori strumenti giuridici internazionali che permettano la protezione di questa nuova categoria di individui.

Nella bibliografia internazionale, una nuova terminologia che cercava  di colmare queste lacune, venne introdotta  per la prima volta nel 1976 da Lester Brown del Worldwatch Institute con l'espressione “rifugiato ambientale”. Da quel momento si è susseguita una forte proliferazione di termini. L'eco-profugo, altra locuzione comunemente utilizzata, si riferisce in linea generale a colui/colei che fugge a causa di eventi ambientali catastrofici, quali tsunami, terremoti, cicloni oppure per condizioni ambientali disastrose, quali siccità e desertificazione, causate dallo sfruttamento insostenibile delle risorse naturali ad opera di attori esterni (si pensi alla situazione del Delta del Niger causata dalle trivellazioni dell'Eni). Nel suo quinto report del 2014, anche l'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha cominciato a soffermarsi sulla questione delle migrazioni ambientali, considerandole come impatti sociali dei cambiamenti climatici

Purtroppo, la difformità lessicale nel definire questa tipologia di migranti, si rivela non solo come problema linguistico, ma trova ripercussioni negative in ambito giuridico. La mancanza di una considerazione univoca comune di tale definizione, rende assai difficile un percorso che porti alla creazione di una categoria giuridica in grado di dare protezione a questi migranti.

Il Vecchio Continente, se fosse davvero la realizzazione di quel sogno lungimirante e illuminato partorito su quell'isola del Mar Tirreno, dovrebbe assumersi la responsabilità di quanto ha prodotto la sua politica imperialista nei due secoli scorsi, e quanto ancora sta producendo, e iniziare un dibattito reale ed onesto sulla questione. Il processo giuridico necessario, vista la complessità del problema, si presenta come un cammino tortuoso e in salita, che necessita come base una società cosciente di quello che realmente sta accadendo. Ecco perché serve una narrativa nuova nel raccontare le migrazioni, che parta dal considerare le motivazioni che spingono queste persone a fuggire, rendendosi conto che le quote di cui da qualche mese si parla sono riferite a delle persone, non a degli oggetti. Invece di innalzare muri e chiudere i suoi confini, bisognerebbe innanzitutto cominciare con il restare umani.

Riprendendo le parole dello stesso  Spinelli, oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani.  

Camilla Forti 

In Medias Res

L'associazione In Medias Res nasce nel Luglio del 2015 a Trento come naturale prosecuzione del progetto di media-attivismo "Agenzia di Stampa Giovanile", realizzato da un collettivo formato da giovani con background e formazione differenti. Il progetto nasce in seno all'associazione Jangada nel 2012 e in collaborazione con l'associazione Viração Educomunicação in Brasile, in concomitanza con il Summit Rio+20 e cresce entrando in contatto e collaborando negli anni con diversi enti e associazioni a livello locale ed internazionale (tra gli altri l’Assessorato alla Cooperazione e allo Sviluppo della Provincia Autonoma di Trento, l'Universita di Trento, l'Osservatorio Trentino sul Clima, il consorzio dei Comuni della provincia di Trento BIM dell’Adige, la Fundación TierraVida in Argentina e la Rete+Tu). L'associazione si occupa principalemtene di divulgazione libera e indipendente di tematiche legate all'ambiente, alla società e all'economia attraverso la pubblicazione di articoli e video (negli ultimi anni ha realizzato reportages durante le Conferenze delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici - COP18 di Doha, COP19 di Varsavia, COP20 di Lima), percorsi formativi nelle scuole e laboratori e eventi aperti alla cittadinanza.

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