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La Catalogna sogna il referendum per l’indipendenza
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Ringrazio i più attenti conoscitori della questione catalana per il sollecitato apprezzamento e ricordo che la Generalitat de Catalunya ha indetto fra un mese esatto il referendum con cui i catalani potranno optare per far diventare la Comunidad Catalana uno Stato sovrano e indipendente o per farla proseguire sulla strada del potenziamento della sua autonomia regionale pur all’interno di una confederazione spagnola guidata da Madrid. La scelta di istituire un referendum, analogamente a quello che si è tenuto in Scozia lo scorso 18 settembre, era stata già adottata da tempo così come le domande specifiche del quesito referendario che prevede: “Volete che la Catalogna sia uno Stato?”, e poi precisa: “Volete che la Catalogna sia uno Stato indipendente?”. Diversamente dal caso scozzese però, fin dal principio il governo centrale spagnolo ha reagito affermando che il referendum sull’indipendenza della Catalogna “non avrà luogo”. “Il voto non si terrà e non si terrà perché la nostra costituzione non autorizza nessuna comunità autonoma a sottoporre a un voto o a un referendum le questioni relative alla sovranità nazionale”, ha dichiarato il 12 dicembre dello scorso anno il ministro della Giustizia spagnolo Alberto Ruiz-Gallardón, in carica fino a poche settimane fa.
La risposta delle autorità catalane al diniego di Madrid è consistita in un coinvolgimento ancora più massiccio della popolazione, portata in strada a manifestare la richiesta pressante di autodeterminazione della regione: un sentimento indipendentista poi ritrasmesso sui media nazionali e internazionali. Se già aveva suscitato forte attenzione il milione circa di persone che aveva manifestato a Barcellona l’11 settembre 2012, alla festa nazionale catalana, la cosiddetta “Diada de Catalunya”, sotto la bandiera indipendentista e al grido di “Catalogna, un nuovo Stato dell’Europa”, il clamore prodotto da tale corteo è stata superato nella stessa occasione del 2013 allorché una catena umana lunga 400 Km ha attraversato l’intera regione rappresentando simbolicamente la “via catalana all’indipendenza”. In questo crescente divampare del sentimento separatista, l’11 settembre 2014 ha avuto un significato speciale non solo perché l’amministrazione della Comunidad catalana ha confermato l’annuncio della consulta popolare indipendentista attraverso il referendum di novembre, ma perché tale circostanza si è verificata nell’anno in cui ricorre il terzo centenario di quell’11 settembre 1714 nel quale la Generalitat de Catalunya capitolò dopo 14 mesi di assedio delle truppe borboniche e da allora perse le sue istituzioni indipendenti. Una data altamente simbolica dunque, come lo è stata la manifestazione che ha impegnato più di 7000 volontari che hanno formato una enorme “V” lungo 11 Km del centro di Barcellona, da una parte dalla Diagonal a Plaza Pius XII e dall’altra dalla Gran Vía a Plaza Sarah Bernhardt. Una “V”, che sta per “vittoria”, “volontà” e “votare”, che è stata completata alle ore 17.14, una allusione a quel fatidico 1714. E se non bastasse, la cerimonia si è conclusa con il deposito simbolico di un voto all’interno di un’urna da parte di un giovane che il prossimo 9 novembre compirà 16 anni, l’età minima fissata per la partecipazione al referendum popolare.
Nelle intenzioni degli organizzatori dell’Assemblea Nacional Catalana (ANC) si è trattata della “Diada definitiva”, per “forzare” l’approvazione della convocazione del referendum consultivo sull’autodeterminazione, malgrado il parere contrario espresso anche dalla Corte Costituzionale spagnola lo scorso 25 marzo.
E così è stato: il 19 settembre, a pochi giorni dalle celebrazioni della festa nazionale catalana e appena il giorno successivo al referendum scozzese, la Generalitat ha approvato con una maggioranza di 106 voti a favore e appena 28 contrari l’indizione di un referendum sull’autodeterminazione, autorizzando così il presidente catalano Artur Mas a confermare l’organizzazione del referendum popolare il prossimo 9 novembre. Il governo di Madrid non è stato però a guardare. Sollecitato da un suo ricorso alla Consulta, il 29 settembre il Tribunale Costituzionale Spagnolo per la seconda volta ha sospeso il decreto che istituisce il referendum. Il giorno successivo a tale sentenza, il premier Rajoy ha inoltre ordinato al servizio postale nazionale di non partecipare a eventuali operazioni di voto e spedizione di schede elettorali.
Un braccio di ferro di cui si intravedono con difficoltà gli ulteriori sviluppi che potranno esserci da qui a un mese. Una cosa però è certa. La scintilla separatista che si è accesa in Catalogna è sì favorita da una lunga tradizione autonomista che ha salvaguardato la lingua e la cultura catalana, ma è soprattutto il frutto di una chiara scelta politica adottata negli ultimi anni di limitazione dello Statuto di autonomia di cui gode la Comunidad autónoma de Catalunya e delle funzioni in campo fiscale, giudiziario e amministrativo del Parlamento di Barcellona. Uno scontro tra i governi di Madrid e Barcellona per lo svolgimento del referendum consultivo presuppone anzitutto il possesso da parte di entrambi di una forza contrattuale tale per condurre la propria battaglia: per il mantenimento di uno Stato sovrano unitario seppur federale da un lato, o per l’indipendenza o un’ampia autodeterminazione (sarà il referendum a dirlo) dall’altro lato.
Una questione a cui guardano non solo gli altri movimenti indipendentisti della Spagna ma l’Europa intera perché è proprio in seno a un’Unione Europea “non dei popoli” ma ancora degli Stati che si svolge questa diatriba. Sarà deciso il governo centrale spagnolo a impedire lo svolgimento del referendum anche a costo di inviare l’esercito? Il governo di Mas avrà sufficiente potere contrattuale concessogli dal referendum per ottenere più garanzie di autodeterminazione per la Catalogna o, addirittura, per chiedere l’indipendenza? Appare davvero un’opzione percorribile che la Spagna sia disposta a privarsi di una porzione del territorio sottoposto alla sua sovranità, significativa in termini di cittadini, superficie e Pil? Quale sarà l’azione dell’UE dinanzi a uno Stato ipoteticamente indipendente nato da una fuoriuscita da un suo Stato membro?
Appuntamento con la storia fra un mese per rispondere a queste e a molte altre domande.