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Credi che la Scozia dovrebbe essere un Paese indipendente?
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EDIMBURGO - Sono atterrato a Edimburgo da pochi giorni e vi rimarrò fino a ottobre per seguire la campagna politica per il referendum sull’indipendenza della Scozia dal resto del Regno Unito che si terrà il 18 settembre. Politicamente, è un momento particolarmente interessante per essere qui: domenica 6 settembre gli ultimi sondaggi hanno rilevato che per la prima volta una maggioranza di cittadini scozzesi ha intenzione di votare “sì” alla domanda “Credi che la Scozia dovrebbe essere un Paese indipendente?”.
Queste notizie hanno scosso il fronte del “no”, che era entrato nella campagna convinto di vincere senza incontrare difficoltà. L’idea che gli scozzesi potessero votare per secedere dal Regno Unito sembrava effettivamente improbabile: fino ad appena un mese fa, gli stessi sondaggi che ora danno “Yes Scotland” avanti di due punti fornivano uno scenario differente, con il “No” avanti di ventidue punti. Ci sono diverse ragioni per questa svolta radicale.
Anzitutto, il fronte per il “Sì”, “Yes Scotland”, ha dato vita ad un movimento più che ad una campagna politica. Nonostante l’indipendenza della Scozia sia stata portata avanti prima di tutti dal governo scozzese guidato dallo Scottish National Party e dal suo leader carismatico Alex Salmond, oggi il gruppo pro-indipendenza è ampio e variegato: comprende altri partiti (il Green Party, il partito Verde, ad esempio), tante ONG, associazioni di studenti, anziani, artisti, veterani. Tutti assieme, questi soggetti eterogenei hanno costruito una visione della Scozia come nazione piccola, giovane, dinamica; non il bastione nazionalista e retrogrado che viene talvolta schernito da chi tenta di ridurre l’indipendentismo scozzese a una questione di identità o di risorse petrolifere. E questa visione viene difesa da un movimento molto attivo sul territorio e sui principali social media – twitter, facebook su tutti. Camminando per le strade di Edimburgo, gli adesivi “Yes” attaccati alle finestre delle abitazioni sono di gran lunga più numerosi rispetto a quelli del “No”. Gli attivisti di “Yes Scotland” bussano di porta in porta; e lo fanno gratis.
Per contrasto, gli attivisti del fronte del “No”, “Better together”, sono pagati per ogni ora di ‘volontariato’. Questa differenza la dice lunga sulla direzione presa dalla campagna a una settimana dal voto. Ma ci sono tante altre ragioni per cui “Yes Scotland” risulta oggi più convincente, più appassionante, più agile. Dietro la guida del “No” all’indipendenza si allunga l’ombra lunga dell’establishment britannico e soprattutto di David Cameron, primo ministro del Regno Unito e leader del partito conservatore che in Scozia riceve tradizionalmente meno del 20% dei voti. Negli ultimi mesi gli scozzesi si sono sentiti dire dal governo di Londra che ovviamente sono al centro degli interessi britannici, ma che se per accidente dovessero diventati indipendenti non potrebbero tenere la sterlina, non potrebbero entrare nell’Unione Europea e neppure nella NATO. Molti cittadini scozzesi che non hanno in simpatia lo Scottish National Party sono ora talmente frustrati dal modo in cui il fronte del “No” ha impostato la campagna che manifestano la loro intenzione di votare per l’indipendenza.
A prescindere dall’esito che uscirà dalle urne, comunque, un risultato importante di questa campagna sono stati i toni civili mantenuti nel corso dei mesi. Gli attacchi personali, la caricatura del campo avversario e perfino le aggressioni che alcuni temevano: non c’è stato nulla di tutto questo. A parte alcuni incidenti isolati, la campagna ha reso possibili molti confronti su temi impegnativi: sul tipo di Scozia dove i cittadini vogliono vivere, sul modello di democrazia che può servire al meglio i cittadini e soprattutto quali finalità devono servire i politici e le istituzioni pubbliche. Oggi, in Scozia sembra che tutti i cittadini si stiano confrontando su come si può rendere questo Paese un posto migliore. Per questo, forse, il referendum sarà ricordato come un appuntamento storico.