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L’uomo e le sue responsabilità per l’estinzione
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Foto: Unsplash.com
A forza di dirlo sembra quasi di continuare a ripetere le stesse cose e di risultare banali e poco credibili. Eppure ci sono dati di fatto che non si possono proprio trascurare e che, anche se non ce lo dicessimo – e noi comunque preferiamo farlo – continuerebbero a causare le pesanti conseguenze che impongono a noi e al Pianeta. Quali sono? In particolare uno, ovvero le azioni che l’uomo mette in campo, in maniera cocciuta e inarrestabile, per superare i limiti che la Terra impone, mettendo a rischio la possibilità di sopravvivenza per se stesso e per moltissime altre specie. Anzi, per alcune di esse, avendo già definitivamente azzerato questa opzione.
Dal 1970 gli studi di settore stimano che le popolazioni di specie selvatiche abbiano subito un declino in media del 73%: una cifra che dovrebbe farci vergognare, perché la nostra specie sta pesantemente condizionando l’estinzione delle altre, senza considerare che la questione riguarda da vicino anche noi, in quanto fortemente dipendenti dalla biodiversità naturale per bisogni primari che hanno a che fare con cibo, accesso all’acqua pulita e aria che respiriamo. Mica poco no?
Tom Oliver, professore di Ecologia applicata presso l’Università di Reading, facendo riferimento a un report pubblicato recentemente e ricco di evidenze riguardanti i “rischi cronici” che il mondo sta correndo, sottolinea l’alto “livello di insicurezza rispetto all’individuazione di limiti di sicurezza”, che sembra un bel gioco di parole, ma purtroppo non lo è. La natura si degrada, le malattie esplodono improvvise, si perdono continuamente insetti impollinatori, collassa la pesca e le inondazioni sono sempre più frequenti. Gli indicatori ci dicono che le attività riconducibili all’uomo hanno spinto sempre più il mondo verso una zona di pericolo.
Che la natura sia in grado di farcela a trovare una soluzione può essere una speranzosa consolazione, ma a dire il vero non troppo rassicurante: se i ritmi del cambiamento sono troppo rapidi rispetto ai ritmi di adattamento, le specie riducono anziché aumentare la loro capacità di resilienza. Questo scenario ne apre altri ugualmente preoccupanti: disuguaglianze, conflitti, ingiustizie, malattie, migrazioni di massa e carestie. Tonthoza Ujanjia, esperta di Land Restoration in Malawi, riassume in maniera decisamente efficace la questione: “La biodiversità sembra molto complessa, ma alla fine tutto ha a che fare con la vita: mentre perdiamo biodiversità stiamo perdendo parti di noi stessi come esseri umani”. E lo dice anche un report delle Nazioni Unite (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services – Ipbes): focalizzarsi sul breve periodo di profitti e di mercato badando solo alla crescita economica significa che i più ampi benefici naturali vengono ignorati, contribuendo a ridurre il livello di benessere sociale, spirituale, culturale ed emotivo. Sul Pianeta vive, in fitti reticolati di ecosistemi fragili e interconnessi, la nostra intera storia. Perché è la natura la nostra storia, e con essa perdiamo anche la capacità di esserle connessi.
Gli scienziati lo continuano a ripetere: la crisi della biodiversità va affrontata urgentemente anche se ha 8 volte meno copertura, a livello mediatico, rispetto alla crisi climatica. È però altrettanto importante. La COP16 era un momento su cui si riponevano grandi aspettative, andate però, come vi abbiamo raccontato, in gran parte deluse.
Non si tratta solo di monitorare le condizioni attuali – operazione che resta comunque di fondamentale valore scientifico e ambientale – ma anche di agire di concerto con i governi e la società civile. Solo che cambiare il modo in cui concepiamo la nostra possibilità di consumo significa cambiare la nostra visione dell’economia, dell’istruzione, delle nostre stesse forme mentali. Ci sentiamo rinchiusi dentro questo degrado, ma non lo siamo ancora del tutto: dobbiamo “solo” recuperare quei valori che ci legano alla natura, abbandonando questa noncurante attitudine all’ecocidio.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.