Italia nucleare entro 2030? Impossibile!

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Foto: Unsplash.com

Il cosiddetto Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 del governo guarda al nucleare, non è un segreto. Eppure in pochi sembrano crederci sul serio nonostante alcuni piccoli, ma significativi, passi siano stati effettuati in questa direzione. Di recente il Decreto bollette (DL 19 del 28 febbraio 2025), con una dotazione di circa tre miliardi a favore di famiglie e di imprese, presuppone un nuovo impulso all’efficienza energetica e un incremento della produzione rinnovabile secondo due parole d’ordine: decarbonizzazione e sicurezza energetica. Nella pratica, il decreto legge riattiva l’iter per le centrali nucleari civili spente in Italia dal 1987 dopo il referendum abrogativo: è giunto il momento di riaprire un reale dibattito? 

Ne abbiamo parlato con Mirco Elena, fisico, responsabile della sezione trentina dell’Unione degli scienziati per il disarmo (USPID) e direttore dell’Ufficio di Trento di ISODARCO

Come descriverebbe lo scenario nazionale attuale sul nucleare?

ME: Per meglio spiegare e interpretare la situazione, ritengo sia necessario condividere alcune considerazioni di ordine generale. Innanzitutto si può individuare una frattura ideologica tra le energie rinnovabili, in mano al pacchetto ideologico delle sinistre, e il nucleare, patrimonio delle destre vicine al mondo aziendale e delle produzioni innovative. In secondo luogo, il nucleare appare di più facile attivazione a livello logistico: mediante la progettazione di un solo enorme impianto si può dare energia a milioni di cittadini; ben più complicato rispetto alla costruzione di impianti solari o eolici che, per garantire la stessa energia elettrica, necessitano di molte strutture e dell’accordo con le amministrazioni locali e con i cittadini di quei territori. Terza riflessione: per alcuni esponenti del governo e un’intera generazione di una certa età, il nucleare rappresenta una panacea per il problema energetico del Paese secondo una retorica pubblicitaria che ha fatto presa allora e che non può essere scalfita. È l’immaginario del “too cheap to meter” (troppo economico da misurare) dell'allora presidente della Commissione per l'energia atomica, Lewis L. Strauss, che la usò nel 1954 prefigurando un mondo a trazione nucleare e addirittura a consumo gratuito, senza alcun bisogno di avere i contatori per il servizio! Infine, ultima considerazione, il nucleare continua a essere generalmente percepito come un elemento assai moderno, al contrario le energie rinnovabili risultano d’altri tempi (la pala eolica simile a un antico mulino a vento e l’impianto solare sfrutta passivamente un elemento naturale al pari della raccolta dell’acqua piovana). 

Venendo al Piano energetico ideato dal governo italiano, cosa ne pensa?

ME: Cadono le braccia a leggere il Piano perché troppo cose non tornano. Vado sul concreto: probabilmente a causa del trauma causato dai disastri di Černobyl del 1986 e di Fukushima del 2011, il governo ha indicato di non puntare sulla costruzione di grandi centrali nucleari come quelle degli incidenti ma sulla realizzazione di impianti nucleare con reattori piccoli, modulari e sostenibili. Oltre a non comprendere bene il senso dell’affiancamento del termine “sostenibile” al nucleare, spiegazione non data dal governo, attualmente sul mercato non esiste una ditta che costruisce e dunque che venda tali reattori. Al momento ci sono solo 2 reattori piccoli e modulari (non disponibili in commercio), dislocati in Russia e Cina, su cui ci sono scarse informazioni anche se appare certo che non risultano particolarmente efficienti. Come è possibile, dunque, realizzare un piano energetico che punta sul nucleare con deadline un impossibile 2030 se non si sa neanche chi sia in grado di costruire e di vendere gli impianti? Inoltre, non avendo idea dei costi a monte di attivazione, come può essere valutata la competitività di questa energia sul mercato?

Perché il governo allora ha deciso di puntare sul nucleare?

Molto semplicemente per tutte le considerazioni generali fatte inizialmente. Ovvero si tratta di un argomento storico delle destre, appare uno strumento di più facile attivazione, si ritiene una soluzione salvifica e all’avanguardia rispetto alle “banali” forze energetiche naturali. 

Al problema delle scorie nucleari è mai stata data una risposta?

Purtroppo no. In un Paese serio, se il piano energetico nazionale punta sul nucleare, sarebbe compito prioritario del governo attivarsi per indicare dove saranno i depositi. In Italia questo non avviene e non è mai avvenuto; ad oggi non è stata data una soluzione seria neanche al deposito delle scorie nucleari degli anni ’80, col rischio di fuoriuscita del materialo radioattivo in caso di una emergenza, come le tante alluvioni verificatesi negli ultimi anni. 

Il piano nazionale è compatibile con il risultato del referendum abrogativo sul nucleare del 1987?

Secondo me non si tratta della questione dirimente. Sono passati quasi 40 anni dal referendum e oggi con una buona pubblicità a favore del nucleare e promettendo risparmio per le famiglie, un altro ipotetico referendum potrebbe avere tutt’altra risposta da parte dei cittadini.  

Che soluzione suggerirebbe per soddisfare il fabbisogno energetico nazionale?

Occorre senz’altro puntare sulle energie rinnovabili, che sono ormai le più competitive dal punto di vista dei costi, anche con un incremento dei bacini idrici in tutto il Paese e tenendo conto degli sviluppi promettenti (e rapidi) della ricerca per far fronte al problema dell’accumulo di energia. Di certo l’efficientamento e la riduzione dei consumi, anche grazie alla diffusione di una reale educazione energetica, garantirebbero una certa autonomia energetica dell’Italia. 

In questo momento la società civile appare poco interessata dall’avvio di questo iter verso il nucleare. Non ci crede fino in fondo o, al contrario, ritiene il nucleare una valida soluzione energetica?

Le persone sono sensibili a risparmiare soldi e, sempre di più, al discorso su un futuro ambientale sostenibile. Sono però impreparate dal punto di vista tecnico e facili prede di frasi spot di propaganda che poco hanno a che fare con la sostanza della posta in gioco.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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