India: servono bagni per 600 milioni di persone

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“L’igiene è più importante dell’indipendenza”, diceva Mohandas Karamchand Gandhi, ma mentre l’indipendenza dell’India è arrivata nel 1947 l’igiene degli indiani dovrà aspettare almeno fino al 2019, data scelta dal Governo di Narendra Modi per chiudere il programma “Swacch Bharat Abhiyan” o “Clean India Mission”, che contempla la costruzione di 110 milioni di water. “Raggiungere l’obiettivo sarà il modo migliore di onorare il Mahatma nel 150esimo anniversario dalla sua nascita”, ha dichiarato Modi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità si tratta di un programma “urgente e necessario” visto che “circa 597 milioni di indiani provvedono ancora ai propri bisogni corporali all’aria aperta”. Ciò significa che la problematica igiene sanitaria del Paese interessa circa il 50% della popolazione indiana e stando all’ultimo censimento del Governo, quello del 2011, pare che solo il 32,7% delle famiglie indiane abbia un reale accesso ai servizi igienici. Un grande balzo in avanti rispetto all’1% del 1981, ma comunque un dato peggiore rispetto a Paesi più poveri dell’India, come Afghanistan, Burundi e Repubblica Democratica del Congo.

Per farsi un’idea di quanto il problema sia attuale basta prendere un treno al mattino presto da Delhi e incrociare decine di persone accovacciate lungo i binari appena fuori dalla stazione intente ad espletare le loro urgenze mattutine. Per questo, quando il 26 maggio 2014 Modi è diventato Primo ministro, il Governo ha lanciato quasi subito la campagna “Clean India Mission” e le foto di Modi intento a ripulire Delhi hanno subito fatto il giro del mondo. Ma la pulizia del programma di governo non ha solo cercato di porre un argine alla quantità di rifiuti sparsi per le grandi città indiane iniziando la costruzione di una coscienza ecologica nella popolazione, ma ha tentato di risolvere la penuria di toilette, un grave problema di salute pubblica che aumenta encefaliti e diarree, ben prima di essere una questione di decoro. Come se non bastasse la presenza diffusa di batteri e vermi che provengono dalle feci all’aria aperta causa  spesso l’enteropatia, una malattia cronica che impedisce al corpo di assorbire calorie e nutrienti. E questo spiega perché, nonostante i redditi indiani siano in crescita, il livello di malnutrizione infantile non sta migliorando altrettanto velocemente, tanto che secondo l’Unicef quasi la metà dei bambini indiani soffre ancora di malnutrizione.

Per molti però “Clean India Mission” non è solo un rimedio alle malattie. Come sappiamo dalle recenti cronache la mancanza di servizi igienici in India arriva ad essere persino un problema di sicurezza per le donne, come ha dimostrato lo stupro di due minorenni nel 2014, assalite in un villaggio dell’Uttar Pradesh dopo che erano uscite per andare a fare i loro bisogni in un campo vicino a casa. Un violenza non certo isolata e così, dopo anni passati a promuovere i benefici igienici dei water, ora l’India e le ong che lavorano nel Paese hanno pensato di promuovere i bagni come un primo passo per migliorare anche la sicurezza femminile, tanto che per lo stesso Modi ha dichiarato che  “Non possiamo smettere di lavorare alla costruzione di servizi igienici finché non avremo sradicato questa vergogna che genera malattie e rende più vulnerabili le donne”.

Per il momento il Governo indiano ha stimato un investimento di 29 milioni di euro, di cui una buona parte è destinata ai sussidi per le famiglie che vorranno dotarsi di un bagno. “Si tratta di un sussidio di 15mila rupie (215 euro) per ogni latrina. Sempre che soddisfi i requisiti minimi stabiliti: almeno 1,2 per 1,8 metri di grandezza e il collegamento a due fosse biologiche”, ha spiegato Sagar Murthy, della Fundacion Vincente Ferrer, una ong incaricata a livello locale di convincere la popolazione a partecipare al progetto e accedere al credito che viene concesso solo dopo che si dimostra (con tanto di foto) di aver costruito l’opera. Ma un ruolo fondamentale nel piano di igienizzazione dell’India è chiaramente giocato dall’acqua, l’accesso alla quale è ancora un privilegio di pochi in un Paese dove si deve percorrere spesso qualche chilometro di strada per arrivare al pozzo più vicino e poter così mettere in funzione i bagni costruiti. 

A quanto pare, però, costruire bagni potrebbe non bastare. Uno studio pubblicato dall’Economical&Politcal Weekly, condotto fra 3.235 famiglie in cinque stati indiani del Nord, ha rilevato che fra coloro che avevano una toilette c’era chi preferiva continuare a defecare nei campi e finiva per trasformare il bagno in un ripostiglio. Un atteggiamento culturale, legato al concetto di impurità della religione induista che ritroviamo nello stesso Manusmriti, testo sacro indù di 2.000 anni fa, che incoraggia la defecazione all’aria aperta, lontano da casa, proprio per evitare “contaminazioni rituali”. Come ha ricordato Bindeshwar Pathak, il medico che con l’ong Sulabh International ha costruito oltre 1,3 milioni di bagni pubblici in India, “La costruzione di toilette non è sufficiente: c’è bisogno anche di un’opera di convincimento diffusa e di campagne di informazione”. Per questo il monitoraggio dell'amministrazione sulle oltre 500.000 latrine domestiche già realizzate non è compiuto soltanto sulla costruzione dei bagni, ma adesso anche sull’utilizzo effettivo dei servizi igienici. Nonostante le difficoltà, non si può dire che la battaglia igienica e culturale dell’India non sia iniziata.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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