In Europa batte un cuore blu (a rischio)

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Se vi dicessi “il cuore blu dell’Europa”, a cosa pensereste? A un’opera sulla nobiltà mitteleuropea? A un complesso di architettura urbana e design? Al “bel Danubio”? Potreste sbizzarrirvi in idee e ipotesi, ma a chi venissero in mente l’acqua e i Balcani andrebbe sicuramente il merito di aver indovinato area geografica e tema. Perché oggi parliamo proprio di loro, dei fiumi di Slovenia e Albania, sicuramente meno noti rispetto ad altre arterie fluviali che intrecciano anse e letti nel cuore del continente, ma di certo degni del primo gradino del podio dei corsi d’acqua più incontaminati e selvaggi d’Europa: spettacolari cascate, bianche rive, acque cristalline ricche di pesci, estese foreste alluvionali con qualche nido d’aquila, gallerie carsiche. Una storia di bellezza, biodiversità e unicità che nasconde però un’imminente minaccia.

Non so per voi, ma su di me i fiumi risvegliano da sempre un fascino sconosciuto, fatto di suoni e brezze, di sassi levigati e di tempo che scorre, di ruscelli di montagna e di immense distese d’acqua da scavalcare a piccoli attenti passi o su ponti di acciaio e cemento. Quando perciò vedo, leggo o scrivo di dighe e di fiumi in pericolo, qualcosa sussulta nel cuore: perché proteggere il patrimonio idrico rappresentato dai fiumi vuol dire sì impedirne l’inquinamento da rifiuti o da scarti di produzione, vuol dire sì preservare i letti scavati dalla natura senza forzarne i percorsi (con il rischio di disastrose conseguenze, basti pensare alle alluvioni di Genova), ma vuol dire anche, appunto, non sostenere e anzi ostacolare la costruzione di dighe.

E proprio proteggere i fiumi - non un unico corso, ma tutti i fiumi dei Balcani - dalla costruzione di dighe è quello che ha scelto di fare Riverwatch in collaborazione con EuroNatur, lanciando nel 2013 la campagna che si chiama appunto Save the blue heart of Europe, salviamo il cuore blu d’Europa. Primo obiettivo: rilevarne la morfologia, registrarne le aree protette e la biodiversità vegetale e faunistica (ben 69 specie di pesci sono endemiche e introvabili in altre zone del pianeta, come le trote marmorate, dalla bocca soffice e Prespa o l’Huchen, noto come salmone del Danubio), individuarne le minacce. Con un risultato impressionante: oltre 11.000 km di fiumi pressoché puri e incontaminati e altri 17.000 km di corsi d’acqua in ottimo stato, che soddisfano le precondizioni morfologiche e che rappresentano l’80% dei fiumi della regione, con livelli di qualità impensabili in altre zone d’Europa.

Questo per quanto riguarda le buone notizie. Purtroppo ce ne sono anche di cattive: a partire dagli oltre 2.700 impianti idroelettrici in programma per la regione che mettono a rischio l’intera rete fluviale, ivi comprese le aree protette o quelle che ospitano specie in pericolo. Sono circa 113 i progetti di dighe che rientrerebbero all’interno dei parchi nazionali, altre 133 dighe nei siti di Natura 2000 e molte altre all’interno proprio di aree protette. Ciò che aumenta la gravità della prospettiva è che progetti come questi sono sostenuti e finanziati da istituzioni internazionali come la Banca mondiale e la EBRD (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) e implementate da aziende europee che promuovono la costruzione di dighe come “investimenti green, difendendo la distruzione dell’ambiente naturale sotto l’egida della “protezione climatica” (un esempio su tutti, quello che sta succedendo al fiume Sana in Bosnia-Herzegovina).

La campagna per salvare il cuore blu dell’Europa sta però fortunatamente portando qualche risultato: lo scorso dicembre, ad esempio, le proteste hanno costretto i finanziatori a ritirarsi dall’impresa che, assieme al governo macedone, intendeva sostenere la costruzione di impianti idroelettrici all’interno del Parco Nazionale di Mavrovo e che, oltre a minare l’idea più autentica di parco nazionale, avrebbe distrutto il principale habitat della lince dei Balcani, una sottospecie molto rara della lince Eurasiatica. Un risultato di certo incoraggiante, che però non deve far pensare che la battaglia vinta offra garanzie su tutta la linea: la campagna punta anche a questo, a coinvolgere le persone ad alzare la voce in difesa dei propri fiumi, a maggior ragione quando episodi come quello di Mavrovo ottengono risonanza anche sui media internazionali. Perché purtroppo quello di Mavrovo non è l’unico fronte che merita attenzione: in Albania, ad esempio, lo stesso rischio è corso dal fiume Vjosa, l’ultimo immenso e selvaggio fiume d’Europa fuori dalla Russia, che scorre per oltre 270 km dalle montagne della Grecia al mare Adriatico e che, scientificamente, può definirsi “inesplorato”. Un'altra arteria di preziosa biodiversità che dall’Europa andrebbe protetta come un tesoro anziché sottoposta a invasive operazioni economiche che non garantiscono di certo la sostenibilità e il turismo a basso impatto dei quali invece beneficerebbero le comunità locali se l’area diventasse Parco Nazionale.

Un passaggio è necessario per sostenere territori e abitanti in questo processo: rendere visibili le minacce che incombono. In questo si è impegnato ancora una volta il marchio Patagonia che, com’è noto, sostiene fin dalla nascita progetti a favore della tutela ambientale destinandovi l’1% del suo fatturato e promuovendo iniziative anche attraverso i suoi testimonial e atleti (tra aprile e maggio, ad esempio, è in programma il Save the Balkan River Tour, un ritrovo di kayakers provenienti da tutta Europa per promuovere l’incontaminata bellezza delle acque dell’area, che si concluderà proprio sul fiume Vjosa e nella città di Tirana, con un rilevante dispiego di forze a sostegno della causa, tra le quali anche giornalisti e media).

La provocazione che assecondiamo è quella di Ulrich Eichelmann, coordinatore della campagna: quanto spesso ci capita di avere l’occasione di salvare l’eredità di un continente? Se non potremo partecipare personalmente agli eventi, il nostro compito rimarrà prezioso: informarci, diffondere e sostenere con la comunicazione l’azione. 

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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