G8 e clima: un passo avanti verso Copenhagen con due lati oscuri

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Finalmente, dopo anni di battaglie e tentennamenti (tra cui ricordiamo quello dell'Italia sul piano europeo per la riduzione delle emissioni), sembra che i pesi più industrializzati della terra (Australia, Brasile, Canada, Cina, Unione Europea, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Repubblica Coreana, Messico, Russia, Sudafrica, Regno Unito e Stati Uniti) comincino a farsi carico delle preoccupazioni espresse dagli scienziati sul riscaldamento globale.

E lo fanno nel corso del G8 dell'Aquila, con un documento di comunione di intenti che spazza via la politica della prudenza e del conflitto di interessi tra la riduzione delle emissioni e lo sviluppo economico affermando che il cambiamento climatico c'è, è una cosa seria e bisogna impegnarsi con tutte le nostre forze per mantenere l'aumento di temperatura al di sotto dei due gradi.

La dichiarazione, scritta nell'ambito del Mef (Major Economies Forum on Energy and Climate, Foro delle Maggiori Economie su Energia e Clima, istituito da Obama il 28 marzo scorso) si articola in 5 punti chiari che tracciano una strada molto precisa sul metodo di lavoro per raggiungere gli obiettivi.

In primo luogo viene riconosciuta l'importanza per questo processo della leadership dei paesi sviluppati, che dovranno impegnarsi non solo per ridurre il prima possibile le loro emissioni, ma anche nell'aiutare i paesi in via di sviluppo (a cui comunque verrà concesso un po' più di tempo per raggiungere il proprio picco delle emissioni) in maniera concreta, con finanziamenti e tecnologie.

Poi si prende atto del fatto che saranno i paesi più poveri a pagare le maggiori conseguenze del cambiamento climatico, nonostante ne siano i minori responsabili. Sarà quindi ancora compito dei paesi industrializzati offrire loro un ulteriore supporto per l'adattamento.

Inoltre, viene riconosciuta l'importanza dell'investimento nelle tecnologie verdi (dalle energie rinnovabili alle centrali a carbone ad alto rendimento e basse emissioni, dalle reti intelligenti al risparmio energetico) e viene chiesto ai paesi di sviluppare delle Road Map sui propri piani di riduzione ed investimento da presentare entro il 15 novembre 2009.

Viene anche sottolineata l'importanza di un sistema privilegiato di finanziamenti che faciliti la collaborazione tra le istituzioni e i privati, rendendo più facile ma al contempo maggiormente controllato l'accesso al credito per progetti legati alla riduzione delle emissioni.

Infine, i paesi del Mef dichiarano di impegnarsi a incontrarsi nel corso di quest'anno per facilitare il raggiungimento di un accordo alla Conferenza ONU di Copenaghen sul clima, il prossimo dicembre.

Un documento storico e straordinario, insomma, dove finalmente i paesi sviluppati appaiono consapevoli delle delle loro responsabilità sui temi del cambiamento climatico. Solo due le cose che mancano: una chiarificazione sull'aumento massimo di 2 gradi e una quantificazione delle risorse necessarie.

Il primo punto non è di secondaria importanza. Sappiamo con certezza che c'è una correlazione tra l'aumento di concentrazione di gas serra (CO2 principalmente) e l'aumento di temperatura. A causa della complessità del sistema climatico, però, esistono molte incertezze sulla quantificazione di questo aumento. Ad esempio, stabilizzando la concentrazione a 450 ppmv (parti per milione in volume) c'è ancora un 18% di probabilità di superare la soglia dei 3 gradi centigradi. Probabilità che sale al 44% nel caso di 500 ppmv e raggiunge il 69% con 550 ppmv1 . Considerando che oggi la concentrazione è di 430 ppmv e che negli ultimi anni sta salendo ad un ritmo di 2,5 ppmv è chiaro che i tre obiettivi di stabilizzazione prevedono politiche molto differenti. Quindi dovremo capire a quale concentrazione si intende stabilizzare il nostro pianeta per capire quali sono i rischi reali e gli investimenti necessari.

E qui arriviamo al secondo punto. I capitali da mettere in gioco per una riduzione delle emissioni di queste proporzioni sono enormi. Secondo il rapporto Stern, per stabilizzare la concentrazione della CO2 a 550 ppmv (ed avere ancora un xx di probabilità di sforare la soglia dei 2 gradi centigradi) sono necessari investimenti nell'ordine dell'1% del PIL mondiale. Se invece volessimo mantenerci un maggiore margine di sicurezza e puntare a una stabilizzazione a 500 ppmv, i costi salirebbero al 2%. Una cifra enorme che fino ad ora nessuno ha mai messo a disposizione.

Dovremo quindi aspettare il 15 novembre, quando i paesi presenteranno i loro piani dettagliati per la riduzione delle emissioni, per capire esattamente quanto questo documento così coraggioso sulla carta riuscirà ad incidere davvero nella politica dei singoli paesi.

Matteo Conci

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