Fascino e alibi dell’uomo forte al potere

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Foto: Unsplash.com

C’è il potere delle imprese multinazionali, il potere dei governi, il potere dell’uomo sulla donna, quello dei ricchi sui poveri… C’è anche il potere dell’uomo (e della donna…) forte che in Italia, dove la cultura della non delega ha bisogno di rafforzarsi, non smette di affascinare: quando quel potere forte cade prevale l’idea che chi è stato dominato non ha alcuna colpa, un solo colpevole tutti innocenti.

C’era una volta un tema vecchio e già narrato a fondo in tutti i suoi aspetti. Quello del fascino che l’uomo forte al potere suscita nella popolazione nostrana. Il che non vuol dire affatto che forte lo sia sul serio. Ciò che conta è solo l’atteggiamento, nella scelta della postura come del tono della voce, nello sguardo e soprattutto nelle parole.

Ad ammaliare gli abitanti di questo nostro stivale non è la forza in sé, bensì l’idea di quest’ultima, messa in scena nel modo più convincente possibile. Ciò nonostante, nessun uomo forte – ovvero solo nella farsa – lo è tale per tutte le stagioni e differenti generazioni.

Cominciamo dal primo per antonomasia nell’immaginario storico dei più: Benito Mussolini, il primo capocomico di questo atavico spettacolo che funziona sempre allo stesso modo. Ciò vuol dire che ottiene ogni volta l’identico risultato negli occhi e nei cuori del popolo – o per meglio dire il gregge – che guarda e ascolta: obbedienza, riverenza e paura. Il Duce otteneva ciò con una singola espressione del volto, seria e corrucciata e con l’ausilio di una mascella volitiva, il petto in fuori, le gambe divaricate e le braccia che si agitavano con un’incoerente coerenza.

Dopo una successione di leader più o meno in grado di guadagnarsi tale particolare tipologia di asservimento da parte della cittadinanza – più meno che più – il secondo che mi viene in mente è Giulio Andreotti, soprannominato il “Papa nero”, il “divo”, o anche “Belzebù”, l’uomo forte – o sembiante tale – il quale ha dominato la scena politica italiana dalla fine degli anni ‘50 agli ultimi degli Ottanta. Ma Andreotti si meritava lo scettro in modo differente. Non aveva dalla sua il classico physique du rôle adatto al personaggio, sia per quanto riguardi la figura che la voce, ma raggiungeva comunque lo scopo sopra citato: ottenere e incutere obbedienza, riverenza e paura.

Semplicemente aveva intuito che con la gente di questa penisola, stretta e allungata in un mare che per secoli l’ha vista vulnerabile e preda di aggressioni da ogni dove, non serviva neppure farlo vedere, l’uomo forte. Era sufficiente evocarne gli aspetti più inquietanti e minacciosi tramite il “non detto” e il sottinteso, come accade nei migliori film horror. In ordine cronologico il terzo leader forte – perlomeno come scritto nel copione – è stato ovviamente Bettino Craxi. Qual era la sua specialità? Semplice quanto banale, se preferite: l’arte della politica nella sua applicazione più elementare, che consiste nell’assicurarsi il potere e la forza con cui tenere alleati ed elettori in mano tramite la ricchezza di amici potenti e influenti. Ovvero, una delle tante lezioni impartite dall’America: non serve pescare nel torbido per godere di sostenitori straordinari. È sufficiente far emergere costoro dalla melma rendendoli rispettabili. Il problema è che prima o poi tale inaspettato eccesso di visibilità alimenta la vanità, e quest’ultima presenta prima o poi un caro prezzo, e l’unico modo per non precipitare è salire in cima più rapidamente. Il dramma è che quando si è quasi arrivati lassù non c’è mai posto per due sul trono.

Eccoci quindi, senza sorprese, a Silvio Berlusconi, l’uomo forte del secondo Ventennio e anche di più...

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