Europa, il richiamo delle identità perdute

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Nadia è una delle tante donne venute dall’est Europa per dare un aiuto ai nostri anziani, per svolgere nelle nostre case le mansioni più umili, per cercare un lavoro in grado di migliorare la propria posizione economica. Nadia è moldava. È qui con la sua famiglia; è già nonna anche se non ha ancora cinquant’anni. Nadia vorrebbe tornare con la Russia.

Dice proprio così, “Russia”, non “Unione Sovietica” che pure era lo Stato in cui Nadia è nata. Ritorniamo di colpo non alla guerra fredda, ma direttamente all’Ottocento, allo zar. Nadia non batte ciglio nel dire di essere contenta che un’intera regione della Moldavia, la Transnistria, sia da sempre occupata da truppe dell’Armata Rossa e non capisce perché la Crimea non possa ritornare alla Russia. Così i suoi figli ventenni,  perfettamente immersi nei costumi di gran parte giovani “occidentali” (italiani): lavoro precario, partner precario, poca voglia di faticare, molta voglia di divertirsi. Eppure anche loro sognano la Russia e rimangono estranei a questa Europa. Che non conoscono.

 È chiaro che concretamente Nadia ha in mente i tempi dell’Unione Sovietica. Come era meglio allora, quando si stava peggio. Almeno stavano tutti male, tranne ovviamente gli alti dirigenti del partito. Almeno si faceva parte di un grande progetto, di un grande spazio politico che dava un senso di appartenenza: la società era bloccata, la libertà negata, ma tutti avevano un lavoro, erano inquadrati: costretti certamente, ma anche protetti. A differenza degli ucraini di Kiev che manifestano per l’Europa, Nadia continua a guardare a Est, al passato, forse alla sua giovinezza.

Sarebbe facile ribattere alla sua posizione dicendo che lei è stata spinta all’emigrazione proprio per la fallimentare politica economica del regime comunista; sarebbe logico domandarsi perché lei è qui e non a Mosca; in questo modo però si rischia di non comprendere l’energia del richiamo della storia e neppure le forze che muovono l’animo umano ad ogni latitudine. Forze, inconsce e profonde,  che travalicano  confini e generazioni, che carsicamente tornano alla luce quando meno te lo aspetti, che rimangono incontrollabili producendo scoppi di irrazionalità. Evidentemente ci sono anche vie democratiche che cercano di guidare questi processi storici, come avviene per il referendum sull’indipendenza della Scozia in programma per settembre. Le cornamuse e la cavalleria dei cosacchi però non sono poi così distanti.

Come Unimondo avevamo scritto in tempi non sospetti, parlando prima della Catalogna e della Scozia poi allargando lo sguardo su tutta l’Europa sottolineando come il tema del separatismo, dell’identità e del richiamo del passato sarà al primo punto dell’attualità europea nel 2014.

Quanti di noi vorrebbero tornare indietro: sono giovani o adulti che, come Nadia, ignorano quasi completamente le reali vicende storiche, ma immaginano un tempo felice, illusorio, comunque affascinante. È spesso difficile mantenere un contatto lucido con la realtà. Così, avvicinandosi le elezioni europee, invece di parlare del progressivo rafforzamento e della necessaria democratizzazione delle istituzioni comunitarie, il governatore del Veneto Zaia vuole l’autodeterminazione del popolo veneto. Come era potente la Serenissima, come era splendida Venezia con quindici teatri, con i nobili e i costumi settecenteschi. Già che ci siamo sarebbe giusto  che la Repubblica Veneta riconquistasse i territori perduti, la costa dalmata, le isole del Dodecaneso.

C’è poco da ridere però. Anche se il recente sondaggio-referendum online per l’indipendenza del Veneto è completamente viziato da inadeguatezze organizzative (non si sa se preventivate: intanto online uno stesso utente poteva votare decine e centinaia di volte) tuttavia la “gente” sarebbe davvero tentata da queste avventure di cui non conosce la reale portata. Studi molto seri lo dimostrano. Intanto, seguendo le indicazioni di Beppe Grillo, ogni regione italiana, ridisegnata secondo i confini del 1700, comincerebbe a battere moneta: ducati, talleri, fiorini, scudi, dobloni sarebbero il segno di una ritrovata identità.

Al di là del perenne carnevale italiano, in questi ultimi anni sperimentiamo quanto la storia non possa essere governata semplicemente dalle leggi del mercato o dalla progressiva innovazione tecnologica; essa è determinata dai secoli trascorsi, da vicende sedimentate di cui abbiamo quasi perso la memoria. La “generazione senza futuro”, come gli accigliati nichilisti alla Galimberti definiscono i giovani, scopre senza saperlo di essere attraversata da pulsioni che vengono dal passato.

Ritorniamo così al bisogno di fare memoria. Una memoria consapevole, capace di guardare in faccia alla storia. Altrimenti molti potranno essere ingannati da chi vuole ricostruire imperi, da chi rievoca nostalgie assurde ma evocative e trascinanti. Altrimenti ci limiteremo a descrivere il ritorno ad un passato dalle conseguenze imprevedibili.

Fare memoria ma anche buona informazione. È quello che cerchiamo di fare. Non siamo soli comunque, esiste una rete di realtà medio piccole impegnate sui temi di Unimondo. Spetta anche ai cittadini consapevoli di informarsi in maniera adeguata e soprattutto di cercare i canali giusti per trovare le notizie importanti che spesso non vengono raccontate dalle grandi agenzie di stampa. Nel nostro piccolo cerchiamo di offrire questa informazione.

Piergiorgio Cattani

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