Ricordare, senza retorica

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La giornata della memoria arriva a fine gennaio puntuale come la nebbia ghiacciata di inverno in alta montagna. Vengono aperti i cancelli di Auschwitz in un paesaggio lugubre dominato dalla neve. Ecco, la neve, piacevole ricordo di infanzia, diventato, dopo la tragedia nazista, presagio di atrocità.  La neve perde la sua innocenza e rimanda – come per il poeta Paul Celan –alla morte. La neve ha accompagnato lo sterminio degli ebrei, e degli altri compagni di sventura, soprattutto nell’Europa orientale dopo l’invasione dell’Unione Sovietica cominciata nel giugno 1941. Il campo di battaglia sono i villaggi ebraici imbiancati presenti nei quadri di Marc Chagall  dove la poesia della natura viene deturpata dalle fiamme dell’odio. La violenza dell’uomo ha stravolto il mondo circostante: il manto bianco diventa un sudario, il latte diventa nero, l’aria una tomba e il “Maestro di  Germania”, simbolo più alto della civiltà europea fatta di filosofia, teologia, arte, cultura, si trasforma in seminatore di sciagura. Così ancora Celan descrive lo sterminio nella sua “Todesfuge”, una fuga musicale sostituita da una danza macabra di morte.

Ora siamo lontanissimi da tutto questo. Sembra non riguardarci più. La giornata della memoria, strumento necessario ma forse abusato, può essere anestetizzata in vari modi, dimenticandosi di essa oppure mettendola in calendario come una ricorrenza utile per organizzare qualche evento, per proiettare un film, per coinvolgere persone ma in fondo per celebrare se stessi. E questa è una tragedia nella tragedia che si ripete quando si parla di genocidi o di guerre: l’industria del pacifismo vive di questi eventi estremi, vuole sconfiggere la violenza ma in realtà si nutre di essa. Chi sta da questa parte, chi lavora onestamente per la pace e la riconciliazione deve riconoscere il pericolo di diventare professionista della solidarietà, compiangendo le vittime senza aver sperimentato nulla della catastrofe di cui tanto parla.

Dall’altra parte assistiamo all’indifferenza che giunge alla completa ignoranza della storia. Alla memoria si sostituisce l’oblio. Ed ecco che pure il dileggio viene tollerato. Ecco che un presunto comico francese può permettersi di scherzare con svastiche, uniformi, offese razziali e storpiature di parole; ritornano così quei termini denigratori e disumanizzanti alla base della propaganda che ha condotto allo sterminio. Anche in questo caso però non ci sono i buoni democratici da una parte e i cattivi fascisti dall’altra: a tutti ricordare dà fastidio e sconvolge l’animo. Come sarebbe bello chiudere tutto con una risata. In questo modo però si darebbe una vittoria postuma ai carnefici di allora.

Personalmente ogni anno partecipo con molta passione alle iniziative legate alla giornata della memoria,  cercando di stare dalla parte “giusta” che rimarrà per sempre quella delle vittime. Tuttavia confesso anche in me stesso il pericolo dell’abitudine. Essa si concretizza nella presunzione di parlare tranquillamente di eventi che solo i testimoni potrebbero raccontare. Certamente non chi ha per fortuna soltanto conosciuto un tempo di pace. È necessario invece continuare a sostare di fronte al terribile volto del male senza quella consuetudine che finisce per appiattire tutto. Non è facile. Sarebbe bello dimenticare quella pagina di storia che per altro si ripete, magari in forme diverse e in dimensioni più ridotte, anche oggi in numerose parti del mondo. E così quest’anno la giornata del 27 gennaio stava scivolando via dai miei interessi.

Eppure una circostanza l’ha fatta riemergere. Ritrovare un libro. Cominciare a leggerlo. Piombare in una realtà inaudita e quasi impossibile da immaginare. Mi è capitato di avere tra le mani il poderoso romanzo – testimonianza- di Vasilij Grossman Vita e destino”. Immediatamente ci si immerge nella violentissima invasione nazista dell’Unione sovietica, in battaglie e assedi senza pietà, in un’atmosfera bellica capace di cogliere la follia della guerra in una maniera eccezionale, indelebile ad ogni lettura.

Come attraverso  varie scene, si è accompagnati dall’autore, che era stato giornalista al seguito delle truppe in quella che i russi chiamano “Grande guerra patriottica” (prima di essere perseguitato a causa delle sue idee non in linea con il regime staliniano) in una realtà durissima, forse per noi inimmaginabile. I campi di concentramento in Ucraina, il fronte della battaglia di Stalingrado, le retrovie, gli sfollati, i rastrellamenti nei territori occupati, le stragi di massa, l’insensatezza della completa disumanità. La vita  che nonostante tutto vuole continuare. A volte solo per inerzia, per esistere, non vivere. A volte per un estremo atto di resistenza contro il male. Forse per celebrare la giornata della memoria è sufficiente sostare a riflettere per davvero: quei tempi terribili possono ritornare, sta a noi impedirlo.

Possono ritornare, ritornano seppure magari coinvolgendo persone e Paesi lontani dall’Europa. Alla fine però l’alternativa è sempre quella: il rispetto o meno della dignità umana. Oggi tolleriamo prigioni speciali “per motivi di sicurezza” o creiamo campi di detenzione per immigrati irregolari chiamandoli Centri di identificazione e di espulsione. Certamente l’Italia, l’Europa, il mondo civilizzato sancisce solennemente i diritti umani: ma cosa contano le parole se in pratica così non avviene. Esse restano un monito per la nostra coscienza. Concretizzarle per davvero diventa il nostro compito.

Piergiorgio Cattani 

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