Dossier/ Siccità: allarme globale

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Foto: Mappa dall’ultimo rapporto Drought in Numbers dell’Unccd

Il grido è globale. Circa 4miliardi di persone (su 7,8miliardi di esseri umani) vivono oggi una grave carenza d’acqua per almeno un mese all’anno. Sempre più persone (circa 700milioni) soffrono periodi di siccità più lunghi rispetto a settant’anni fa e la popolazione globale interessata da siccità estrema è destinata ad aumentare dal 3% all’8%.

A questo desolante quadro si aggiungono le questioni economiche. L’agricoltura, ad esempio, risente enormemente degli effetti della siccità. Secondo le rilevazioni del WWF, a livello globale, tra il 1983 e il 2009, circa tre quarti delle aree coltivate globali (circa 454milioni di ettari) hanno subito perdite di rendimento indotte dalla siccità meteorologica, con calo di produzione cumulativa di 166miliardi di dollari. Sempre secondo la ong, che in occasione della giornata mondiale della desertificazione e della siccità (il 17 giugno) ha pubblicato un proprio approfondimento, anche l’attuale produzione globale termoelettrica e idroelettrica è influenzata negativamente dal fenomeno. Si parla in questo caso di una riduzione dal 4 al 5% dei tassi di utilizzo delle istallazioni durante gli anni di siccità rispetto ai valori medi a lungo termine dagli anni ‘80. 

Secondo l’ultimo rapporto Drought in Numbers dell’Unccd (vedi chi fa cosa), la frequenza e la gravità della siccità sono aumentate del 29% dal 2000. Entro il 2050, le zone aride potrebbero coprire tra il 50 e il 60% di tutta la terra, con circa tre quarti della popolazione mondiale che vive in queste aree in condizioni di grave scarsità d’acqua.

Buone nuove di prevenzione

Pur nel drammatico quadro di siccità e desertificazione in cui il Pianeta si trova ci sono, secondo l’Unccd, alcune nuove misure di mitigazione del rischio di siccità messe a punto dalla Convenzione Onu e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) che mostrano che si può aumentare la resistenza alla siccità. Per farlo servono “allerta precoce, una maggiore cooperazione tra agenzie e un mix di conoscenze tradizionali e approcci innovativi”.

Ecco alcuni esempi. In Brasile, Etiopia e Tunisia, viene utilizzata una combinazione di raccolta dell’acqua e pratiche di gestione sostenibile del territorio “per ridurre l’impatto della siccità tra le popolazioni vulnerabili”. Segnali di progresso anche nelle regioni più vulnerabili come nel Sahel, dove esiste un istituito che “riunisce l’intera gamma di parti interessate, dalle associazioni di produttori ai decisori, che beneficiano delle capacità scientifiche e tecnologiche fornite dalle organizzazioni regionali.” 

L’India ha invece adottato un approccio definito “ancora più completo” che include la gestione della siccità come parte del piano nazionale di gestione dei disastri e coinvolge varie istituzioni a livello nazionale, statale e locale: si basa su un’azione precoce che inizia con la gestione del sistema idrico del Paese, compresa l’acqua piovana, i fiumi e le falde acquifere. 

Nel cosiddetto Corredor Seco dell’America centrale, che si estende attraverso Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua e a zone del Costa Rica e di Panama, i fondi di emergenza della comunità vengono utilizzati per sostenere gli agricoltori colpiti dalla siccità senza accesso a finanziamenti e assicurazioni formali sistemi. Oltre il 60% della popolazione, secondo la Convenzione Onu, dipende dalla produzione di cereali di base per il proprio sostentamento e in tre cicli di raccolta su cinque i piccoli agricoltori subiscono perdite significative.

Anche gli Stati Uniti hanno messo a punto “alcuni dei più sofisticati e avanzati meccanismi di monitoraggio e risposta alla siccità, che potrebbero avvantaggiare e accelerare lo sviluppo dell’azione collaborativa a livello globale”...

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