Donne, pastore, madri

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Foto: Unsplash.com

Per secoli hanno percorso i prati di montagna per sfamare le loro greggi. L’introito che hanno generato è stato cruciale per la trasformazione delle proprie comunità, contribuendo a garantire servizi sanitari ed educativi e a costruire la prima strada che conduce fuori dalla valle. Sono le pastore Wakhi dei pascoli del Pamir, in Pakistan. E la loro storia sta per finire. 

La BBC, con il suo speciale 100 Women, che ogni anno individua una lista di donne influenti e fonte di ispirazione in tutto il mondo, ha seguito queste donne anziane e coraggiose attraverso pendii scoscesi e vento che sferza il volto, con i fischi per radunare capre e yak che rieccheggiano in lontananza. “Una volta il bestiame era molto più consistente, gli animali erano molti e a volte tornavano, a volte no”, considera Bano, quasi 80 anni di esperienza sulla pelle. Per anni dozzine di loro hanno attraversato ogni estate le montagne del nord-est del Pakistan, spesso portando i propri figli sulle spalle e lasciando gli uomini nelle fattorie a valle, nello Shimshal. Oggi di queste donne di altri tempi – lo possiamo proprio dire – ne restano solo sette. Perché i tempi non sono più gli stessi. Camminano per 8 ore al giorno con la pioggia, la neve o con un caldo che brucia il viso, a un’altitudine intorno ai 5000 mslm a cui ormai sono acclimatate: per il viaggio che anni fa richiedeva 3 giorni oggi però ne servono 5, con la minaccia costante di scivolare a valle e gli zoccoli degli animali che smuovono terra e sassi. Un percorso che in passato era ben più impegnativo, perché le donne non indossavano scarpe da trekking e giacche termiche come possono fare ora. I piedi stavano nella neve ghiacciata o attraversavano ruscelli gelidi che disegnavano pascoli lussureggianti stesi tra cime tra le più alte al mondo.

Queste donne hanno imparato il lavoro dalle madri e dalle nonne, portando avanti una tradizione matrilineare di pastore e casare. Una tradizione che sta rapidamente morendo: ora nessuno vuole più dormire sui tetti delle baracche per proteggere le greggi dai lupi e dai leopardi, posizionando trappole e accendendo fuochi dentro notti nere come pece. Allora non c’erano medici o presidi sanitari tra le montagne e solo in un tempo lungo la pastorizia è diventata per le donne un’attività di successo, basata sulla produzione di derivati del latte e sulla condivisione delle greggi per poi rifornire i propri villaggi. 

La comunità Wakhi ha beneficiato per anni del loro lavoro, ricambiandole con la costruzione di capanne e case ma anche permettendo loro di pagare i matrimoni dei propri figli e la loro educazione, creando per le generazioni più giovani nuove opportunità. La combinazione tra la pastorizia al femminile e le fattorie gestite dagli uomini ha portato l’intera comunità alla costruzione, nei primi anni 2000, della prima strada che connetteva una realtà fino ad allora isolata alla statale del Karakoram che collega Pakistan e Cina. E, com’è facile immaginare, la vita è rapidamente cambiata: più rapidi gli spostamenti, più rapidi i flussi di idee, più rapido l’accesso ai servizi, così come rapido è stato il cambio di priorità. La comunità ha virato sul turismo e l’accoglienza, incoraggiata dalle madri a concentrarsi sullo studio più che sulla pastorizia. Perché ogni genitore desidera per i propri figli una vita meno dura.

Grazie a queste donne, i villaggi della valle contano ora medici, ingegneri e altri professionisti, che le pastore guardano con orgoglio e soddisfazione. Eppure una sfumatura di malinconia resta nei loro occhi. Perché essere pastore è molto più di un lavoro. Lo sanno bene, per avvicinarci alle nostre latitudini, i promotori di ShepForBio, un progetto cofinanziato nell’ambito del programma Life dell’Unione Europea che ha l’obiettivo di conservare alcuni habitat di prateria della Rete Natura 2000, attraverso il coinvolgimento di pastori e allevatori e la valorizzazione del loro impegno anche attraverso percorsi di formazione che possano fornire ai partecipanti strumenti teorici e pratici di base utili all'avvio di una nuova attività.

Perché la pastorizia non è solo tutela del territorio e dell’economia locale, ma è anche annodare un legame stretto con la terra, tesoro di relazioni, cultura, rispetto. E se le strade portano lontano verso i propri sogni, rischiano di portare anche lontano dai propri ricordi e dalle proprie radici. Non per questo non vanno percorse, ma possono sempre esserlo in entrambi i sensi, fatte di andate e ritorni e puntellate di consapevolezza, rispetto, orgoglio e gratitudine.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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