Diritti violati e cattiva gestione. Viaggio nei CIE dopo Mafia capitale

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Il titolo è suggestivo: “Interferenze di memoria. Per non dimenticare”. Ma la conferenza svoltasi a Roma e legata alle celebrazioni della Giornata della Memoria, ha cercato di andare oltre il ricordo. E’ giusto raccontare ciò che non trova spazio, quelle interferenze inascoltate nel flusso delle informazioni, ma è necessario anche agire. Soprattutto quando si parla di CIE. 

“Più che un campo di concentramento – ha sostenuto la filosofa Donatella Di Cesare, fra i relatori – i Centri di Identificazione e Espulsione sono campi in cui si mettono a punto le tecniche per smaltire le scorie umane della globalizzazione”. Una posizione dura, confermata da altri interventi e soprattutto da interrogazioni parlamentari, rapporti, denunce e rinvii a giudizio accumulatisi nell’ultimo decennio. In occasione della Giornata, Unimondo vi propone un viaggio nell’arcipelago CIE. Cinque centri, gestiti da grossi consorzi, che continuano a sopravvivere a un sistema tacciato di incostituzionalità e violazione dei diritti fondamentali.

"Qua dentro siamo merci di uno sporco sistema". A parlare è Sunjay, trattenuto nel CIE di Ponte Galeria, appena fuori Roma. La sua storia ci rimanda a un nome centrale delle inchieste sul "mondo di mezzo", ovvero Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative sociali romane, fra i principali protagonisti della mercificazione dei migranti nella capitale. Come il dirigente del consorzio Eriches 29 Giugno, Sunjay ha studiato nel carcere di Rebibbia, dove è stato il tempo sufficiente per diplomarsi in ragioneria, diventare mosaicista e apicultore e partecipare a diversi concorsi letterari. Ma per quest'uomo di 46 anni, originario delle Mauritius e in Italia dal 1989, uscire dal carcere ha significato diventare un'invisibile. E' entrato a Ponte Galeria nel novembre 2014, e qui sconterà ulteriori tre mesi di reclusione. "Sono un invisibile - spiega - pur avendo un conto corrente e un codice fiscale. Di sicuro lo stato non aveva bisogno di identificarmi". Una sorte che è condivisa da una buona metà dei trattenuti del centro: ex carcerati, che perdono i titoli per il soggiorno in seguito alle detenzione.

Ponte Galeria è uno dei cinque CIE attualmente dichiarati attivi dal Ministero dell'Interno. Dei 1790 posti disponibili fino a due anni fa in 11 centri, oggi si arriva a malapena a 650. Ma a essere occupati, nonostante il ministero non diffonda dati dallo scorso luglio, si calcola che siano oggi meno della metà dei posti disponibili. Gli ultimi anni hanno dunque visto la chiusura di diverse strutture, danneggiate da rivolte periodiche e travolte da alcune inchieste giudiziarie per mala gestione. I pochi rimasti però resistono, nonostante situazioni sempre più critiche, evidenziate fra gli altri dalla Commissione Straordinaria per i Diritti Umani del Senato

 Partiamo proprio da Roma, il centro più grande: è dello scorso dicembre il cambio di gestione, che ha visto subentrare a Auxilium il raggruppamento di imprese costituito da Gepsa, Acuarinto e Synergasia. Da 67 operatori si è passati a una ventina, in attesa - secondo i dirigenti - di definire la vertenza sindacale aperta con i precedenti gestori. Si tratta, a detta di molti trattenuti, di personale poco qualificato, che poco può fare in un centro fatiscente e sporco, che alloggia circa 100 persone per una capienza di 250. Sono infatti numerose le segnalazioni critiche: docce che non funzionano per settimane, assenza di forniture di base come carta igienica e assorbenti, pasti freddi o non adeguati a persone con regimi alimentari particolari, riscaldamento malfunzionante. Mancano poi, o non sono presenti con continuità, le figure professionali previste dai capitolati firmati dai gestori: mediatori culturali, psicologi, assistenti legali, addetti alle pulizie. Addirittura, segnalano alcuni trattenuti, i costi dello spaccio interno, che vende tabacchi e genere alimentari secchi, con la nuova gestione sono saliti anche del 30%, a fronte della riduzione da 3,50 a 2,50 euro del pocket money quotidiano. Effetti del sistema dei bandi al ribasso, che ha fatto vincere Gepsa e soci con un'offerta di 29 euro/die per ospite, lontana dai 41 spesi con Auxilium. 

E' sempre Gepsa, questa volta in consorzio con la sola Acuarinto, a gestire dal 15 gennaio il più piccolo dei CIE attualmente aperti, quello di Torino, ristrutturato nel 2013 con una spesa di 14 milioni di euro. In una struttura registrata per 210 persone, ne vivono oggi 21, racchiuse in poche stanze. L'esiguità degli spazi non ha impedito che a fine 2014, per due settimane, "ospiti" e operatori rimanessero al freddo, in seguito a un guasto alle caldaie. 

Salito all’onore delle cronache per un presunto utilizzo della struttura per l’espulsione di, sempre presunti, terroristi, il CIE di via Brunelleschi racconta però un’altra storia: una delegazione della campagna LasciateCIEntrare, in visita lo scorso 25 gennaio, è stata parzialmente fermata, fatto inedito e che si ricollega a un altro episodio simile, avvenuto a Ponte Galeria nel dicembre 2014. Anche lì, diversi giornalisti e avvocati erano stati bloccati per motivi di sicurezza. Raccontare cosa succede in questi centri è insomma scomodo, per le prefetture, che devono autorizzare in accordo con le questure gli ingressi di Ong e giornalisti e forse anche per gli enti gestori, che con appalti vinti al ribasso non sono in grado di soddisfare i criteri alloggiativi previsti dalla legge. 

Giacomo Zandonini

Giacomo Zandonini. Classe 1981, ha vissuto a Milano, Trento, Bologna, Roma. Operatore sociale e culturale, è giornalista e videoreporter freelance dal 2004. Si occupa soprattutto di migrazioni, diritto d'asilo, politica estera e geopolitica del Sahel e del Nord Africa. Cerca di sottrarre all'oblìo e al rumore mediatico storie minori, capaci di gettare luce sul mondo che ci circonda. Indaga con determinazione su cause e motivazioni personali, dietro alle notizie. Ha studiato scienze politiche e lingue straniere. 

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