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Dalla Westphalia alla Weltinnenpolitik
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[...] Il mondo come sistema di stati, il sistema Vestfalia del 24 ottobre 1684, sta giungendo al termine. Un holon pieno di contraddizioni. Per cui la guerra era un diritto (se dichiarata) e il perseguimento degli interessi della nazione dominante in ciascuno stato era la regola. Con le colonie gli europei conquistarono terre e persone; e come imperi comandarono attraverso le elite locali. Una grande contraddizione che portò molti imperi al collasso dopo la Seconda Guerra Mondiale, come l’impero sovietico nel 1990-2; ora rimane solo l’impero degli Stati Uniti, anch’esso in declino.
Le Nazioni Unite sono oggi formate da 193 stati, forse 200 in tutto. E forse da 2.000 nazioni, realtà legate dalla stessa lingua e la stessa religione, una storia condivisa e un’appartenenza geografica. Lo stato è un pezzo di territorio; la nazione è idioma e fede, tempo e spazio. Identità.
Le guerre fra stati stanno svanendo insieme al sistema degli stati, mentre cresce la violenza delle nazioni che vogliono il loro posto al sole. Con solo 20 stati nazione e 180 stati multinazionali, questa contraddizione sta erodendo gli stati stessi. Le ovvie soluzioni, federazioni con autonomia nazionale e confederazioni e comunità che superano i confini si stanno formando con estrema rapidità e molto spargimento di sangue. Solo quattro stati sono federazioni di più nazioni con ragionevole livello di equità fra le nazioni: le madri di tutte queste sono indubbiamente la Svizzera e il Belgio, e poi c’è l’India con il suo federalismo linguistico, e la Malesia.
Ma anche le autorità locali vogliono un posto al sole, e potrebbero essercene due milioni, e così vale per le ONG: un mondo in cui regna la diversità umana riconoscerà clan e tribù, non solamente le organizzazioni occidentali di volontariato. Molte di queste si battono per i diritti di alcuni gruppi, altre per la natura e il suo diritto alla sopravvivenza.
Partendo dall’alto la regionalizzazione sta assorbendo gli stati, ad eccezione di quelli più grandi come la Russia, la Cina, l’India e forse gli Stati Uniti e l’Indonesia. Ma quest’ultima fa già parte dell’ASEAN- Association of Southeast Asian Nations, e poi ci sono la SAARC- South Asian Association for Regional Cooperation, l’AU-Unione Africana, and l’EU-Unione Europea. L’America Latina con i Caraibi ci sta arrivando con rapidità, l’OIC è stato promosso dall’Organization of the Islamic Conference a Organizzazione per la Cooperazione Islamica, e l’Asia orientale troverà presto una sua forma, con o senza il Giappone.
Sono molto forti, come lo sono le società transnazionali, soprattutto quelle finanziarie, che speculano con i soldi altrui. Non altrettanto forti sono le Nazioni Unite, azzoppate dalla decadenza dell’imperialismo anglo-americano, ma con molto da costruire se verrà abolito il diritto di veto e verrà creata un’Assemblea dei Popoli delle Nazioni Unite eletta tramite elezioni libere e giuste, e se le Nazioni Unite si sposteranno da Manhattan a un ambiente più rappresentativo come ad esempio Hong Kong.
Le contraddizioni sono importanti: identificano gli attori che muovono il mondo, il momentum per una politica interna mondiale. Il messaggio è rispettare le identità nazionali se si rispettano a vicenda, costruire a partire dal locale e dalle ONG, rispettare le regioni come blocchi a partire dai quali costruire e rafforzare le Nazioni Unite.
E, banale speculazione è renderlo illegale mentre si continua il lavoro guidato dalle Nazioni Unite per la responsabilità sociale delle aziende. E questo ci porta a domandarci: esiste un paese che possa fare da modello al mondo? Esiste, è la Svizzera. Quattro nazioni con eguali diritti, democrazia diretta legata alle comunità locali: ve ne sono 2.300 tra 26 cantoni. Eguaglianza ragionevole. La prova è la sua longevità: più di 700 anni.
Ma la politica interna mondiale ha bisogno di creatività, non di imitazione. Per l’economia dovremmo iniziare a pensare in termini di un salario minimo di sopravvivenza per i 7 miliardi di persone che abitano il pianeta, facilmente finanziato attraverso il denaro ora sprecato in spese militari e speculazione: in forma di sussidi per i beni di prima necessità e di denaro, che liberino gli esseri umani dalla miseria e la morte e affinché possano rivolgersi a obiettivi più spirituali.
Per gli aspetti militari dovremmo pensare al disarmo e a una polizia mondiale, a una cultura della risoluzione dei conflitti che sia come una cultura dell’igiene. La violenza è il momentum di un conflitto non risolto e di un trauma con il quale non c’è stata riconciliazione. La strada è il dialogo: empatia, creatività, nonviolenza ne sono le forze trainanti.
Per la cultura abbiamo di fronte a noi una sfida meravigliosa: selezionare coraggiosamente il meglio di tutte le culture ed essere coraggiosamente eclettici in molti modi, diversi e simbiotici.
E per la politica del decision-making: democrazia, aggiungendo il dialogo-arricchimeto-consenso al modello occidentale di dibattito-voto-maggioranza. Aggiungendo i diritti umani collettivi delle nazioni, delle autorità locali e delle ONG ai diritti umani come intesi dall’Occidente. Aggiungendo al dominio della legge occidentale un’attenzione verso gli atti di omissione che equivalgono ad azioni commesse. E unire il processo decisionale mondiale (le Nazioni Unite non sono riformabili in un contesto su Regioni Unite?) con il vecchio sistema statale, che guida la democrazia a livello locale. A livello della vita delle persone, che sanno dove la scarpa fa male, è possibile gestire i problemi ambientali in modo diretto con la localizzazione, non solo con la globalizzazione dei cicli economici.
È una grande sfida, ma è fattibile. E se per il 24 ottobre del 2048, compleanno delle Nazioni Unite, si riuscisse ad avere un sistema di Weltinnenpolitik alla Weizsäcker?