www.unimondo.org/Notizie/Dai-mozziconi-nascono-i-fior-146004
Dai mozziconi nascono i fior
Notizie
Stampa
Se c’è una cosa a cui mi sono quasi arresa è convincere altri che esistono alternative (magari migliori) alle abitudini che perseguono, alternativamente con grande convinzione o con radicata cocciutaggine, a volte con generalizzato disinteresse per gli altri, l’ambiente, se stessi. Non c’è verso, se non lo si decide, desidera e sceglie in prima persona non c’è cosa che altri possano indurci a fare. Un esempio su tutti: smettere di fumare. Un vizio probabilmente tra i più difficili da arginare. Mah, mi direte dati alla mano, mica vero… sappiamo che, ad esempio in Italia, con la Legge 3 del 16 gennaio 2003 (art. 51) che impedisce di fumare nei locali chiusi il numero di fumatori è drasticamente diminuito. Sì, questo è innegabile. Vero è che molti hanno smesso di fumare, ma solo in alcuni spazi e non in altri, e quelli che lo hanno fatto non lo hanno con ogni probabilità fatto pensando all’ambiente. E allora oggi vorrei approfondire questo aspetto, che spesso dimentichiamo a favore di un altrettanto legittimo interesse per i danni alla salute provocati dal fumo, attivo e passivo, di sigaretta. Ma ci siamo mai chiesti quali siano i danni ambientali provocati da questa forse rilassante, di certo comune, a volte di moda, in ogni caso cattiva abitudine?
Partiamo da qui: i comuni mozziconi di sigaretta composti da monoacetato, materiale sintetico, impiegano dai 10 ai 15 anni per decomporsi e nel mondo vengono sparsi nell’ambiente da più di 1 miliardo di fumatori. Immaginate quanti sono?
In pochi ci pensano, e forse è proprio per questo che possiamo dire che i mozziconi sono rifiuti dimenticati, anche se pericolosi tanto quanto quelli industriali: oltre a essere tremendamente sgradevoli quando li vediamo sui marciapiedi delle nostre città o quando a primavera stendiamo una coperta per un picnic al parco, i residui di una sigaretta si trovano in grande quantità anche in mare, dove vengono spesso gettati da fumatori incuranti. Come non pensare al vuoto normativo, ma soprattutto culturale, che ancora resta da colmare quando leggiamo che i mozziconi costituiscono il 40% dei rifiuti del Mediterraneo, prima delle lattine di alluminio e prima ancora delle bottiglie e dei sacchetti di plastica?
Accendere una sigaretta significa immettere nell’ambiente più di 4000 sostanze chimiche ad azione irritante, tossica, mutagena e cancerogena, come leggiamo sul sito di PLEF, acronimo di Planet Life Economy Foundation, libera fondazione senza scopo di lucro che si occupa di dare concretezza ai principi della sostenibilità al fine di includerli nelle dinamiche gestionali di impresa.
Nelle cicche troviamo quindi non solo nicotina, ma anche benzene, ammoniaca, acido cianidrico, composti radioattivi e acetato di cellulosa, sostanze che imbrattano il suolo e finiscono nelle fogne e nelle acque superficiali, contaminandole. Non basta quindi ridurre il consumo di sigarette o fornire le nostre città di appositi contenitori per lo smaltimento dei mozziconi, ma occorrono altri provvedimenti, innovativi e in qualche modo “costrittivi”, che impongano anche ai più disinteressati o inconsapevoli quel rispetto che l’ambiente merita.
Green Butts ne ha escogitato uno, ad esempio, che a fronte di un problema di spinosa soluzione, prova a proporre un’idea interessante che non scoraggia i fumatori (gli appassionati della sigaretta difficilmente si lasciano convincere da alternative a base di petali di rosa…) ma che al contempo tutela i non fumatori e l’ambiente. Un’idea che non utilizza nessuno degli additivi comuni nella produzione di sigarette, quali zucchero (che bruciando aumenta la percentuale di catrame), caramello (che produce catecolo, agente cancerogeno) o acroleina (derivato della glicerina, irritante per i bronchi) – tutte sostanze che in buona parte rimangono anche nei filtri. Quella di Green Butts è una prospettiva rivolta al futuro, ovvero alla biodegradabilità dei mozziconi: i filtri sono costituiti da materiali naturali, appunto senza additivi chimici o artificiali, a base di cotone, lino e canapa e con un legante a base di amido. E non è tutto. Dentro questi filtri è contenuto un piccolo seme: una volta che il mozzicone viene bagnato dalla pioggia o coperto anche da poca terra, in parte si decompone (con tempi non brevi ma sicuramente meno lunghi di quelli necessari per le sostanze sintetiche) in maniera rispettosa per l’ambiente e germoglia in erba o in fiore.
Certo, come in molti altri casi, proposte di questo tipo nascono per tamponare danni causati da comportamenti che, se eliminati alla fonte, non richiederebbero di ingegnarsi in soluzioni creative ma comunque insufficienti. Sono idee che non mancano quindi di suscitare perplessità, a partire dal fatto che un filtro naturale non annulla per niente gli effetti fastidiosi, in generale negativi e in molti casi anche mortali, delle sigarette. Sicuramente la prevenzione, in questo come in altri ambiti, è sempre più auspicabile della cura e, se recepita, senza dubbio più efficace. Senza contare che, se già è riprovevole l’usanza di gettare senza ritegno i mozziconi di sigaretta dovunque capiti, una volta confermata la biodegradabilità dei filtri e adottata su vasta scala, potrebbe essere servita su un piatto d’argento una facile scusante alla maleducazione dilagante. Maleducazione che non sempre può essere smussata con la creatività di persone come Tom Deininger, ideatore di spettacolari opere d’arte costruite con mozziconi.
A me rimane comunque in testa la considerazione che ogni tentativo di aiutare le imprese a ridurre i rifiuti e la loro longevità con l’utilizzo di sostanze meno dannose per noi e per il pianeta che abitiamo valga la pena di essere incoraggiato. E unitamente a questo pensiero mi resta quello che, ben lungi dal sostenere il consumo di sigarette, se proprio si vuole continuare a fumare meglio è che lo si faccia con qualche accortezza in più per chi condivide lo spazio con noi. Infine un ultimo appunto: per difendere l’ambiente e, con esso, noi e la nostra salute, dobbiamo essere realisti e pensare cose realizzabili. Sognare di “salvare il mondo” non lo è. Provare a migliorarlo poco a poco accompagnandolo verso nuove prospettive lo è forse un po’ di più.