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Dagli alberi al mare, la nuova gomma da surf
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Ci sono attività sportive, come ad esempio il surf, che evocano solo al nominarle scenari paradisiaci, di mare, vento, sabbia dorata e acrobazie affascinanti, divertimento, scoperte, inquinamento, … Ops, sì, c’è un apparente intruso nel nostro idilliaco quadretto. L’inquinamento. Eppure tanto intruso non è, perché anche se probabilmente non è la prima cosa a cui pensiamo, persino le mute che vestiamo in acqua inquinano.
Il materiale principale con cui vengono realizzate le mute tradizionali, infatti, è il neoprene, denominazione commerciale di una famiglia di gomme di sintesi inventate nel 1930 che hanno dimostrato caratteristiche di elasticità e resistenza a tagli, calore, schiacciamento e invecchiamento, nonché inerzia verso molti agenti chimici, tanto da diffonderne l’utilizzo prevalentemente nell’industria (automobili, guarnizioni, nautica), ma anche, appunto, nell’abbigliamento da immersione. Si tratta però di un materiale non rinnovabile, prodotto sinteticamente e con elevati consumi energetici, eppure l’unico a cui per oltre 60 anni chi aveva bisogno di una muta potesse fare riferimento.
Un’alternativa invece adesso c’è. Si ottiene prelevando il lattice dagli alberi di Hevea brasiliensis (alberi della gomma) e utilizzando una specifica emulsione prodotta da Yulex, che elimina il 99% delle impurità, garantendo un materiale resistente e senza effetti allergizzanti. Un’alternativa ecologica e semplice a tutti gli effetti.
Orientare la scelta (dell’azienda produttrice e del consumatore) verso l’utilizzo di una gomma naturale, significa ridurre di circa l’80% le emissioni di CO2 (una delle principale cause dei cambiamenti climatici, ricordiamocelo!) rispetto al processo di lavorazione della gomma sintetica - che tra l’altro dipende da sostanze petrolchimiche. In particolare, si tratta di coltivazioni che condividono lo spazio con piante di caffè, avocado, lime e altri frutti, garantendo biodiversità e tutela ambientale senza contribuire alla deforestazione (in particolare di alcune aree del Guatemala) e preservando l’integrità delle foreste. Senza contare - e non è affatto poco - che in questo caso il polimero viene prodotto direttamente dagli alberi (e irrigato con acqua piovana) e quindi senza la necessità di un procedimento di trasformazione in stabilimento che impiega elettricità anziché energia solare.
I test effettuati indoor e outdoor dimostrano che le caratteristiche della gomma naturale sono estremamente performanti, se non superiori, a quelle del neoprene classico, tanto che il marchio Patagonia, sempre molto attento alla qualità dei propri capi anche da un punto di vista di impatto ecologico, ha scelto di estendere l’utilizzo della gomma naturale a tutte le 20 mute della nuova collezione, al tempo stesso prevedendo un’opzione di rimborso se il capo non dovesse soddisfare l’acquirente per le proprie caratteristiche tecniche. L’azienda, inoltre, ha scelto di realizzare le fodere interne con poliestere riciclato, investendo ulteriori attenzioni nel riadattare materiali di scarto e impedirne così la dispersione nel troppo vasto mondo dei rifiuti non riutilizzati. E’ un invito cui molte altre aziende potrebbero auspicabilmente aderire.
Un metodo di coltivazione, questo, che risponde ai criteri stabiliti dal Forest Stewardship Council, e che viene ispezionato anche da Rainforest Alliance, organizzazione internazionale no profit che si dedica alla tutela della biodiversità e dei mezzi di sussistenza sostenibili, specialmente in contesti tropicali, certificando appunto le piantagioni come FSC. La sigla prevede, tra le altre cose, che le coltivazioni promuovano il benessere dei lavoratori e delle comunità locali da un punto di vista sociale ed economico, garantendo anche lo standard minimo previsto dalla legislazione in vigore in materia di sicurezza sul lavoro.
Da oggi, quindi, cavalcare onde supreme e godersi emozioni a pelo d’acqua acquista un nuovo senso: rispettare tutta la filiera produttiva e preservare la natura, l’ecosistema e la bellezza anche negli sport che pratichiamo nel nostro tempo libero.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.