Con la Nature Restoration Law la biodiversità è approvata in EU

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Foto: Laura Paredis da Pexels.com

Un’approvazione carica di conseguenze quella della Nature Restoration Law, la legge sul ripristino della natura passata al vaglio dell’Europarlamento lo scorso 12 luglio. Conseguenze non solo di ambito ambientale, ma anche politico, determinate dal via libera al testo che ha come obiettivo il ripristino del 20% delle aree terrestri e marine dell’Unione Europea entro l’ormai noto e comune limite, il 2030, estendibile poi per ulteriori azioni fino al 2050. È una vittoria delle sinistre e dei Verdi d’Europa, in un momento storico in cui le destre, spesso estreme, godono di maggioranze sempre più diffuse.

Il fil vert di questa legge è il ripristino della biodiversità e la sua difesa lì dove ancora possibile, e vede uniti in questa sfida migliaia di scienziati, centinaia di associazioni ambientaliste e tutta l’ala degli ecologisti: in Europa l’80% degli habitat è in declino e oltre il 60% dei suoli è malsano e in un contesto dove gli effetti della crisi climatica sono sempre più evidenti l’approvazione di questa legge rappresenta almeno, nonostante le difficoltà all’orizzonte, uno sforzo rivoluzionario per tentare di ripristinare una natura che sta segnalando in tutti i modi possibili il suo collasso.

Gli obiettivi della Nature Restoration Law sono vincolanti per gli stati membri e partono dall’intenzione – necessaria – di ripristinare gli ecosistemi danneggiati, siano essi quelli marini, di zone umide, fluviali e terrestri, per garantire così nel lungo periodo non solo la resilienza climatica, ma anche la sicurezza alimentare, la salute del singolo e della collettività e un benessere diffuso a livello globale.

Sono variegati i provvedimenti da attuare: dalla riduzione dei pesticidi chimici del 50% all’aumento delle aree protette, dalle azioni per salvaguardare gli impollinatori alla tutela (e all’aumento almeno del 5%) degli spazi verdi urbani, dalla conservazione delle torbiere, funzionali anche allo stoccaggio di carbonio, al ripristino degli habitat dei fondali. È evidente come queste azioni implichino lo sviluppo di piani nazionali di ripristino precisi e concreti, oltre che urgenti, a fronte di finanziamenti europei che ammontano a circa 100 miliardi di euro, con 1 guadagno dall’1 a 8 all’1 a 38 per ogni euro speso.

Non semplici le tappe per arrivare a questo punto: dalle Direttive Habitat e Uccelli alla pubblicazione (2020) della strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 e infine la discussione della proposta per la Restoration Law nelle aule della Commissione Ambiente lo scorso giugno, alla presenza di 88 deputati che si sono spaccati a metà esatta, dando prova di quanto sia un tema niente affatto scontato e assolutamente non facile – tra i Paesi più scettici, insieme a Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Austria, Finlandia e Svezia, anche l’Italia, che ha votato contro preoccupata per le limitazioni al comparto agricolo e industriale.

Se però vogliamo provare a considerare la questione non dal punto di vista politico, ma da quello scientifico, in una lettera sottoscritta da quasi 4000 scienziati europei e una petizione firmata da oltre un milione di cittadini, la Nature Restoration Law è stata definita “la più grande occasione per rigenerare la natura d’Europa e garantire sostenibilità, futuro e benessere ai suoi cittadini”. Una chiara manifestazione di un sentimento diffuso negli ambienti accademici e dell’attivismo, che invece sembra non appartenere alla politica.

Per il WWF, questa è un’occasione da non perdere, che evidenzia connessioni profonde in cui nessuno si salva da solo, perché “non possiamo permetterci di rendere non produttivi i terreni agricoli, mettendo a rischio la sicurezza alimentare, ignorando però che queste aree naturali producono in realtà servizi ecosistemici fondamentali per l’agricoltura, come l’impollinazione, la fertilità e la ritenzione agricola dei suoli, la lotta biologica ai parassiti, la depurazione delle acque”.

La posizione stride con quella di alcune associazioni di categoria, come per esempio Coldiretti Toscana, che esprime perplessità sul fatto che la tutela della biodiversità non debba avvenire “togliendo terreni produttivi dalla disponibilità degli agricoltori, o vietando interventi su decine di migliaia di km di percorsi fluviali, ma piuttosto favorendo lo sviluppo della multifunzionalità, della vendita diretta ed opponendosi all'omologazione ed alla standardizzazione delle produzioni”. Una visione che però è contrastata da circa 90 tra le più grandi aziende europee che rappresentano i settori di consumo, della finanza e della distribuzione di prodotti alimentari e che sostengono l’urgenza di adottare “una legge europea sul ripristino della natura che sia ambiziosa e vincolante”.

Chi ha votato a favore ha tenuto conto di dati assolutamente non trascurabili, ma evidentemente non così rilevanti per la nostra penisola, dove si è ignorato che il 68% degli ecosistemi italiani è a rischio e in 15 anni sono stati consumati circa 1200 chilometri quadrati di suolo a causa dell’espansione urbana. In generale, l’89% degli habitat italiani versa oggi in “un cattivo stato di conservazione (WWF).

L’approvazione di questa legge a livello europeo è dunque un segnale di attenzione e consenso dal quale dipendono il nostro futuro e la nostra sicurezza, climatica e alimentare.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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