“Cittadinanze plurime”: quando la società civile è più avanti della politica

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Se a tutt’oggi la politica non sembra ancora pronta ad affrontare in modo serio un tema urgente come la modifica delle leggi di cittadinanza, ci pensa la società civile a non relegare il dibattito, quantomai necessario, nel dimenticatoio. Perchè gli effetti di una società sempre più globalizzata e multietnica ce li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, e invece di vedere questo dato di fatto come un problema farcito di slogan elettorali, forse è arrivato il momento di riflettere su come affrontare questa sfida in modo intelligente, costruttivo e foriero di opportunità.

Con questo intento PRO.DO.C.S., impegnato da oltre trent’anni nei progetti di cooperazione allo sviluppo e sul tema dei diritti, ha chiamato a raccolta un “esercito” tra ong, associazioni, organizzazioni del terzo settore, enti nazionali e internazionali, in un grande dibattito che si è svolto il 19 giugno a Roma dal titolo: “Cittadinanze plurime: Civica, Multiculturale, Sovranazionale”. Lo scopo: porre delle basi comuni per trovare e riconoscere “un paradigma innovativo di cittadinanza che sia fondato sulla garanzia dei diritti umani per ogni cittadino, nazionale, europeo o di Paese terzo risiedente nell’Unione europea”. In pratica, dicono gli organizzatori, “un modello di cittadinanza articolato su molteplici e diversi livelli di appartenenza, rispettoso dei principi della democrazia e dello Stato di diritto, dei valori di dignità umana, libertà e solidarietà”.

Ma sebbene, come afferma Edoardo Patriarca – membro della commissione Affari Sociali della Camera e presidente del Centro Nazionale per il Volontariato – “la politica istituzionale sa bene che questo dibattito è cruciale per il futuro del paese”, nei fatti sembra non voler nemmeno affrontare la questione, per la solita “paura di perdere voti”. Si pensi al  recente annuncio del sottosegretario all’Interno Domenico Manzione su quello che è stato definito “un primo passo verso lo ius soli”, ovvero: il riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli, nati in Italia, dei rifugiati. Le polemiche politiche sono esplose immediatamente, con i soliti toni allarmistici e di condanna che non hanno lasciato nessum margine di dibattito. Peccato che la disposizione sia già contenuta nella legge di cittadinanza del 1992: se la furia cieca si abbatte su una legge che già esiste, figuriamoci su una riforma intesa verso un allargamento del diritto di cittadinanza, anche verso uno ius soli di tipo temperato, auspicato tra l’altro nelle diverse proposte di legge già depositate da diversi gruppi parlamentari.

Eppure la società civile va oltre, e perfino la dicotomia tra ius sanguinis e ius soli di cui si parla tanto è apparsa ormai superata. “Perchè invece – si chiede Anna Maria Donnarumma, rappresentante legale di PRO.DO.C.S – non optare per uno ius dignitatis humanae, che accomuni ogni persona, al di là dei confini nazionali?” E intravede una possibile via d’uscita proprio nel concetto di cittadinanza europea, che già ci è familiare. “Noi stiamo già vivendo questo modello di appartenenza ad uno spazio di comunità politica – spiega – in cui viene sancito il diritto a partecipare alla vita pubblica del territorio, in uno spazio che non é quello nazionale. Allora perché questi problemi con chi ha una cittadinanza diversa dalla nostra? L’Europa ci fa questa raccomandazione fin dal 2001”.

In questo, però, gli Stati membri si sono in parte ritirati dai propositi iniziali. “A partire dalla crisi internazionale del 2007 hanno attuato politiche sempre più restrittive” spiega  Pier Virgilio Dastoli, presidente del Consiglio italiano del Movimento Europeo (CiME). Che invita però a non arrendersi, e anzi lancia un appello ad azioni di cittadinanza attiva per riaprire e operare proprio “nei cantieri dell’Unione Europea“. “Non è tardi per cambiare strada – continua – a partire dall’armonizzazione delle legislazioni sul voto e dal diritto alla mobilità, che è ben più della libera circolazione “. Un altro aiuto secondo lui può venire anche dal diritto di presentare alla Commissione Ue le varie iniziative da parte dei cittadini: “Perchè non estenderlo anche ai cittadini dei paesi terzi?”

Si tratta solo di alcune delle idee e riflessioni scaturite all’incontro romano, in cui tutti hanno dato il loro contributo: da Fabio Baggio, preside del Simi (Scalabrini International Migration Institute), che parla di un nuovo concetto di cittadinanza, slegato da quello di nazionalità, e costituito da elementi come l’appartenenza, la partecipazione e la responsabilità; a Simona Moscarelli dello Iom e il segretario generale del CIDU Stefania dall’Oglio, che hanno messo in risalto l’importanza delle seconde generazioni. E ancora, Gianfranco Cattai, presidente Focsiv, Silvia Stilli, portavoce Aoi, e tanti altri.

Tutti propositivi e tutti con lo sguardo puntato soprattutto al semestre europeo dell’Italia, occasione imperdibile per sottoporre all’attenzione comunitaria il fermento e le nuove idee che partono dal basso. “L’immigrazione e la prossimità mediterranea è il grande rimosso dell’Europa, che in questo ha avuto probabilmente la peggiore Commissione vivente in questi anni di crisi” afferma tra gli altri Francesco Petrelli, portavoce di Concord Italia – Eppure il tema della cittadinanza plurima è già nell’oggi, e i decisori politici prima o poi lo dovranno capire”.

Anna Toro

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