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Cipro, Ungheria, Italia: l’Europa senza bussola
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Non è una novità che l’Europa presenti una notevole propensione ad avvitarsi su se stessa in una crisi di sistema. Abbiamo quasi sempre l’occhio rivolto all’economia e alla finanza, giustamente preoccupati che un tracollo su questo versante significherebbe mettere in discussione conquiste sociali e politiche che pensiamo acquisite per sempre. Mentre la situazione di Cipro rischia di produrre un effetto a catena destabilizzante per tutti, l’Italia sta annaspando nello stallo politico e i paesi del nord Europa sono sempre più tentati di andare per conto loro, ecco che a est il cammino a ritroso verso forme istituzionali sempre meno democratiche continua senza troppi ostacoli.
È il caso dell’Ungheria e della sua nuova costituzione. Identitaria, autoritaria, nazionalista. Questo testo è stato definitivamente approvato già l’anno scorso, ma già sono stati approvati, all’inizio di marzo, nuovi emendamenti che vanno sempre nella direzione di una chiusura verso l’esterno e di un accentramento all’interno del paese. Si tratta della quarta riforma della Costituzione da quando è giunto al potere Viktor Orban. Questa la situazione come la presenta il sito eastjournal.net: “In estrema sintesi (un analisi approfondita, purtroppo in inglese, è disponibile qui), il Governo intende: introdurre la possibilità di ridimensionare la libertà d’espressione per difendere la dignità “della Nazione, dello Stato e della persona” (dati i precedenti, è una formulazione che non fa ben sperare); ridurre il margine di manovra della Corte costituzionale nella valutazione degli emendamenti alla Costituzione stessa e delle leggi; limitare lo status di “famiglia” solo a quelle coppie eterosessuali che si sposano per fare figli (con possibili ripercussioni sulle coppie con figli “pregressi”); ripristinare la legislazione sulle confessioni religiose, di cui abbiamo accennato sopra e che la Consulta magiara ha bocciato; definire il vecchio Partito Comunista (oggi trasformatosi in MSZP) una “associazione criminale”, rendendo teoricamente possibili dei processi “politici” nei confronti delle opposizioni; introdurre l’obbligo per lo Stato di trovare una sistemazione appropriata per i senzatetto; subordinare il finanziamento statale delle borse di studio universitarie al fatto che lo studente sarà costretto a lavorare per un certo periodo in Ungheria per “ripagare il debito”.
Tuttavia l’Europa tentenna, l’opposizione ungherese è fragile e Orban gode di un’ottima popolarità nonostante la crisi in cui versa il paese. I paragoni con le sanzioni che la UE ha comminato all’Austria nel 2000 al tempo di Jorg Haider non valgono molto in quanto tutto il contesto del continente è mutato in peggio in questi anni. Orban potrebbe addirittura uscire dall’Unione. Probabilmente ciò non accadrà. Ma non è questo il problema. Se l’Europa uscirà dalla crisi finanziaria (fatto per nulla scontato) dietro l’angolo ci aspetta un ben più grave crisi politica e democratica. Forze simil-autoritarie – o addirittura fasciste – spuntano ovunque e il pericolo che raggiungano il potere in qualche stato è assolutamente reale.
La risposta a tutto questo tarda ad arrivare. Un tassello indispensabile è quello di creare un’opinione pubblica europea, almeno per creare la consapevolezza di essere parte di un unico destino.