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Brasile: attivisti premiati, ma popoli indigeni ignorati?
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La fine di un anno è sempre tempo di bilanci e di premi. In questa stagione, infatti, dopo la caduta delle foglie e in attesa della caduta della neve, cadono anche i riconoscimenti. Si ricordano soprattutto i Nobel, assegnati dal 1901 il 10 dicembre di ogni anno (anniversario della morte del fondatore Alfred Nobel) alle eccellenze nel campo della pace, letteratura, chimica, medicina e fisica. Quest’anno quello della Pace, a noi di Unimondo particolarmente caro, è andato al Tunisian national dialogue quartet, il quartetto per il dialogo in Tunisia, per “il contributo offerto alla costruzione della democrazia dopo la rivoluzione dei gelsomini del 2011”. Il quartetto formato da quattro organizzazioni della società civile, nato nell’estate del 2013, ha dato vita ad un processo politico pacifico alternativo alla violenza in un momento in cui il Paese era sull’orlo della guerra civile.
Il Nobel ufficiale è stato però preceduto come ogni anno dal 1980 da quello “alternativo”, il Right Livelihood, che è stato consegnato il 30 novembre, sempre nella categoria Pace, a Gino Strada, il chirurgo fondatore di Emergency,“per la sua grande umanità e la sua capacità di offrire assistenza medica e chirurgica di eccellenza alle vittime della guerra e dell’ingiustizia, continuando a denunciare senza paura le cause dei conflitti”. Concepito per “onorare e sostenere coloro che offrono risposte pratiche ed esemplari alle maggiori sfide del nostro tempo”, il Right Livelihood è stato così consegnato per la prima volta ad un italiano, in particolare ad uno che vorrebbe “Abolire la guerra” perché “La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia e uccide il paziente”. Per questo motivo Strada, nel suo discorso a Stoccolma, ha spiegato che la sfida più grande che l’umanità deve impegnarsi ad affrontare nei prossimi decenni “consisterà nell’immaginare, progettare e attuare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino al completo abbandono di questi metodi”.
Un’idea che, nel mezzo dell’Amazzonia brasiliana, da anni è rivendicata per la sua terra anche da Davi Kopenawa, sciamano e portavoce degli indiani yanomami. Davi, soprannominato il “Dalai Lama della Foresta” (capace di attirare l'attenzione e le simpatie anche di David Beckham), è da anni in prima linea nella lotta della sua tribù per proteggere la foresta ancestrale, da quando questa fu invasa da migliaia di cercatori d’oro illegale che portarono violenza e malattie nella foresta della tribù, riducendo la popolazione indigena del 20%. Nonostante sia stato più volte minacciato di morte dai sicari armati al soldo dei minatori illegali, Davi insieme a Survival International e alla Commissione Pro-Yanomami del Brasile, ha condotto in modo nonviolento e pacifico una lunga campagna per proteggere il territorio del suo popolo, che portò alla creazione e al riconoscimento ufficiale nel 1992 del territorio forestale indigeno più grande al mondo.
Per questo, ancor prima del Right Livelihood e del Nobel, il 19 novembre scorso Kopenawa è stato insignito dell’Ordine al Merito Culturale del Brasile, una delle massime onorificenze del Paese, consegnata personalmente dalla Presidente Dilma Roussef, che si è congratulata con Davi per il suo contributo alla cultura brasiliana. “Ho lottato per il diritto degli Yanomami alla loro foresta e alla loro cultura” ha dichiarato Davi. “Sono felice e orgoglioso di me stesso e dei non-Indiani che riconoscono il mio lavoro e la nostra lotta”. Davi è presidente di Hutukara, l’associazione Yanomami che ha fondato nel 2004 e che continua a lottare per la protezione della foresta della sua tribù. Nel 2013, Davi ha pubblicato con grande successo il libro The falling sky (La caduta del cielo) scritto insieme all’amico antropologo Bruce Albert e pubblicato dalla Harvard University Press, uno straordinario racconto della vita di Davi, della sua visione della foresta, della distruzione della natura, del consumismo e di quanto i popoli indigeni possono insegnarci sul nostro insostenibile stile di vita.
Ma l’Ordine al Merito Culturale non è stato conferito solo a Kopenawa, ma anche ai leader indigeni Ailton Krenak e Sonia Guajajara. “Ailton lotta instancabilmente per i diritti dei popoli indigeni dagli anni ’80, quando intervenne davanti al Congresso e, con altri, riuscì a fare pressione affinchè la Costituzione del 1988 riconoscesse i diritti territoriali indigeni. Da allora ha fondato e preso parte a diverse organizzazioni indigene in Brasile” ha spiegato Survival. Sonia invece da coordinatrice dell’Associazione dei Popoli Indigeni del Brasile ha approfittato del premio per protestare contro la proposta di un emendamento costituzionale che potrebbe distruggere le tribù indigene di tutta la nazione. Guajajara in passato ha guidato numerose manifestazioni e lanciato petizioni contro questa proposta. Se dovesse avere il via libera, ha spiegato la leader indigena, sarebbe “la fine delle demarcazioni e della protezione delle terre indigene in Brasile… Ma il movimento indigeno si sta rafforzando e continueremo a lottare per i nostri diritti!”.
Survival si è mobilitata contro questa proposta nota come “PEC 215”, che è stata descritta da un leader del popolo Guarani come “una bomba pronta ad esplodere, e se lo farà, metterà fine alla nostra esistenza”. Per ora il Governo brasiliano non ha ancora sciolto le sue riserve attorno a questa proposta. Sembra proprio che per via diretta, tramite le guerre internazionali o indiretta attraverso leggi dettate dalla sete di profitto, ad un passo dal 2016, come ha ricordato Strada, siamo ancora davanti a un dilemma posto nel 1955 e racchiuso nel cosiddetto Manifesto di Russel-Einstein dai più importanti scienziati del mondo: “Metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra e alla violenza? È possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano?”. Come ha concluso Strada a Stoccolma “Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro“.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.