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Armi nucleari? Dall’ONU parte la messa al bando
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Non c’è immagine più famosa della guerra fredda di quella che riprende il presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy e il Segretario generale del Partito socialista sovietico Nikita Krusciov che intentano un braccio di ferro seduti a cavalcioni su due bombe nucleari. Erano gli anni del confronto atomico tra il mondo occidentale e quello sovietico e l’acronimo “MAD”, pazzia, ossia la Mutual Assured Destruction (Distruzione mutua assicurata), rendeva meglio di tante altre descrizioni la diffusa percezione della follia della corsa agli armamenti nucleari su cui si stava reggendo l’equilibrio politico mondiale. Niente però avrebbe potuto arrestare il confronto fra le due superpotenze, anzi proprio sull’acquista parità del possesso di armi sempre più distruttrici e devastanti si basava l’assenza di conflitti diretti tra Stati Uniti e Unione Sovietica, che sarebbe potuta costare anche la futura esistenza dell’umanità se entrambi i Paesi avessero fatto ricorso all’arsenale atomico a loro disposizione.
Oggi che il confronto est-ovest è venuto meno da oltre 25 anni, tale corsa agli armamenti nucleari non pare affatto arrestarsi. Anzi, in assenza di un nemico pubblico ben definito, la difesa di uno Stato attraverso il possesso di armi atomiche appare agli occhi dei più una politica ben affidabile. È così che da oltre due decenni i diversi tentativi multilaterali di procedere a un graduale disarmo nucleare sono andati nel vuoto: gli Stati che già detengono il nucleare non accettano di perdere tale posizione di rilievo e, d’altro canto, sono molti i governi che intendono entrare a far parte del “club” dei possessori, al momento con 9 membri che, secondo alcuni calcoli approssimativi, deterrebbero circa 15mila bombe nucleari, molte delle quali montate su missili intercontinentali, pronte a portare morte e distruzione in qualsiasi parte del pianeta. La maggior parte sono detenute negli arsenali di appena due nazioni: gli Stati Uniti e la Russia (che ha ereditato il patrimonio sovietico); sette altri Stati possiedono armi nucleari: Gran Bretagna, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord (in molti in realtà dubitano che effettivamente quest’ultimo Paese già possieda l’atomica).
Probabilmente complice anche l’anniversario dei 70 anni dello scoppio delle bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki nell’agosto 1945, è soprattutto in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) che si è innescato un processo per mettere fuori legge le armi nucleari, primo passo per la loro abolizione totale. Non si tratta di un percorso affatto semplice. Solamente l’avvio dei negoziati per la formulazione di una ipotetica Convenzione internazionale in materia ha determinato la levata di scudi in Assemblea Generale riunita in plenaria il 24 dicembre 2016 di ben 35 Stati membri, che hanno espresso voto contrario all’iniziativa (le potenze nucleari che non intendono privarsene e molti loro alleati), e altri 13 Stati si sono astenuti (tra cui quella della Cina); tuttavia i 113 voti favorevoli hanno consentito l’approvazione della Risoluzione L.41. Il pregresso voto del 27 ottobre scorso all’interno del Primo comitato sul disarmo dell’Assemblea Generale, che espressamente ha preso in carico la questione, aveva determinato forte dibattito proprio all’interno della politica e della società italiana in considerazione del voto contrario espresso dalla rappresentanza dell’Italia. Come lei, si erano mossi altri Stati europei, ugualmente posti sotto “l’ombrello nucleare” della NATO, ma in generale non c’era stata una presa di posizione unica, nonostante la raccomandazione espressa poche ore prima dal Parlamento europeo a forte maggioranza che invitava tutti gli Stati membri dell’UE a “partecipare in modo costruttivo” ai negoziati per il disarmo nucleare. In ogni modo, in parte forse per il polverone sollevato dal voto in Commissione, nel voto definitivo di dicembre, la delegazione italiana ha invece completamente ribaltato la sua posizione, esprimendosi a favore della risoluzione e dunque approvando l’indizione di una Conferenza tematica, che si aprirà oggi fino al 31 marzo e avrà una prosecuzione già prevista dal 15 giugno al 7 luglio.
Nonostante infatti le forti opposizioni degli Stati detentori di armi nucleari, ben 57 Paesi sono tra i primi firmatari della proposta di Convenzione, con forte impulso da parte di Austria, Brasile, Irlanda, Messico, Nigeria e Sud Africa. Anche la società civile da tempo lavora a questo obiettivo attraverso la cosiddetta Campagna Internazionale per l'abolizione delle armi nucleari (ICAN), di cui fa parte anche la Rete Italiana per il Disarmo e altre organizzazioni di 100 Paesi al mondo: pur guardando con entusiasmo al Summit ONU come concreta occasione di limitare, se non eliminare, i pericoli dettati dall’arma nucleare, non ci si fa illusioni. Significativo, infatti, sarà il numero di defezioni al Vertice di News York: ben 38 Stati membri a quanto risulta sinora, e che indicano non tanto un problema di numeri, quanto dell’assenza dei principali destinatari dell’accordo internazionale, in possesso dell’atomica o alleati di chi la detiene. Senza il loro assenso, o addirittura senza la loro partecipazione ai negoziati, questi perdono sensibilmente di significato e purtroppo rischiano di restare nient’altro che parole su carta.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.