Air gun e petrolio: quelle “bombe sonore” che fanno paura

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La gioia degli ambientalisti (certo con qualche riserva) per la recente approvazione del disegno di legge sugli ecoreati è stata oscurata dalla decisione del governo di stralciare, all’ultimo minuto e a scrutinio segreto, l’emendamento che inseriva la tecnica dell’air gun fra le misure illegali e punibili con la reclusione da uno a tre anni. Se fosse passato, l’Italia sarebbe stato il primo paese in Europa a vietare questa controversa modalità di ispezione dei fondali marini, il cui scopo è l’individuazione della presenza di idrocarburi nel sottosuolo.

Ma come funziona?  Attraverso strumenti come appunto l’air gun viene emessa una bolla d'aria ad altissima pressione che, scontrandosi col fondo del mare, produce una vibrazione, una sorta di “bomba sonora” che arrivano fino a 280 decibel. Le onde acustiche prodotte vengono in parte assorbite dal fondo del mare, in parte riflesse e in parte rifratte, mentre dei sensori leggono queste risposte e riescono a interpretare la geologia interna e quindi a visualizzare eventuali giacimenti di petrolio o gas.

Secondo gli ambientalisti, la tecnica avrebbe un impatto molto pericoloso sull’ecosistema marino: si parla di morte dei pesci e cambiamenti nel loro comportamento, di livello elevato di stress, indebolimento del sistema immunitario, allontanamento delle specie dall’habitat, temporanea o permanente perdita dell’udito, danneggiamento delle larve in pesci ed invertebrati marini. Per balene e delfini, che grazie all’udito comunicano, trovano cibo e si riproducono, si capisce come questa tecnica possa avere conseguenze anche gravi. Vale la pena rischiare? Il caso della Sardegna, già gravata dalla massiccia presenza di basi militari e industrie inquinanti, ne è un esempio: i norvegesi della Tgs Nopec Geophysical Company, e già dall’anno scorso la multinazionale texana Schlumberger Limited, propongono infatti un intervento che prevede un’area marina di 20.922 chilometri quadrati, ovvero buona parte del litorale che da Alghero, a nord, va sino a San Vero Milis, a sud. “Le operazioni con air gun previste da tutte e due le multinazionali — spiegano dall’associazione ambientalista del Gruppo di Intervento Giuridico — si svolgerebbero in un’area contigua al cosiddetto Santuario Pelagos, istituito dall’Unione europea come area marina protetta di interesse internazionale e area protetta di interesse mediterraneo”.

Se le multinazionali del petrolio o le aziende interessate continuano ad affermare l’effettiva mancanza di evidenza scientifica sui danni prodotti dall’air gun, probabilmente non ci vuole un’equipe di premi nobel per capire che un tale impatto sonoro può avere effetti nocivi sull’orientamento dei pesci e compromettere habitat delicati come appunto i santuari di cetacei e i luoghi di riproduzione. Mentre non risulterebbero in effetti pericoli di altro tipo sull’intero ecosistema marino. Di recente, però, perfino in America un gruppo di 75 scienziati ha scritto una lettera al presidente Obama chiedendogli di intervenire e fermare il programma di test con metodo air gun previsti lungo la costa atlantica degli Stati Uniti. In ogni caso, secondo gli ambientalisti italiani e l’opposizione, la repentina marcia indietro del governo sull’air gun sarebbe proprio un regalo alle diverse compagnie petrolifere che già avrebbero presentato istanze di permesso di prospezione e di ricerca nei nostri mari. Legambiente e Libera parlano di un totale di 17 compagnie, di cui 12 straniere: cinque britanniche, tre australiane, due norvegesi, una irlandese e una statunitense.

Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, intervenendo in Aula alla Camera sulla discussione sul ddl ecoreati, ha difeso così la bocciatura dell’emendamento sull’air gun: “Era un emendamento mirato che non aveva nessuna ambizione di disciplinare complessivamente l’attività di trivellazione ma semplicemente di fare uno spot che nel migliore dei casi era solo di carattere elettoralistico. Un tema così serio non si affronta così”. Proposto da alcuni esponenti di Gal e Forza Italia, c’è chi dice fosse stato inserito in modo da bloccare del tutto l’iter della legge sugli ecoreati (la cosiddetta “polpetta avvelenata”): le opposizioni però, hanno optato per il compromesso pur di far approvare la legge, così il divieto dell’air gun è rimasto fuori.

Una decisione che ha fatto tirare un sospiro di sollievo a molti, come il presidente di Assomineraria Pietro Cavanna, che aveva paventato il blocco di “17 miliardi di euro di investimenti” verso il nostro paese. Ma grosse perplessità erano giunte anche dalla Società Geologica Italiana, secondo cui l’emendamento così come era stato approvato dal Senato, avrebbe “bloccato qualsiasi attività di esplorazione, compresa la ricerca”.

Certo, se è vero che la tecnica risulta la meno invasiva per la ricerca di giacimenti di petrolio e gas, c’è un interrogativo ben più ampio da prendere in considerazione, ovvero se un futuro di piattaforme e trivelle sia auspicabile in un paese come l’Italia dotato di un tesoro ambientale inestimabile, tra coste incontaminate e meravigliosi paesaggi naturali in cui l’importanza dello sviluppo sostenibile, così come delle fonti rinnovabili, del riciclo e del riuso potrebbero essere messi al centro di una strategia di rinascita anche e soprattutto economica. Per non parlare poi dei possibili disastri ambientali in caso di incidenti. “Il governo ha inteso garantire gli interessi delle compagnie petrolifere che vogliono ricercare o estrarre idrocarburi dai nostri mari – ha denunciato Greenpeace in riferimento all’air gun – pagando royalties tra le più basse al mondo e creando pochissimi posti di lavoro, salvaguardando la possibilità di ricorrere a uno strumento estremamente impattante”. Per tutte queste ragioni le associazioni e gruppi di cittadini, dalla Sardegna all’Abruzzo alla Basilicata continuano a mobilitarsi con appelli e manifestazioni, come quella del 22 maggio a Lanciano (provincia di Chieti), in cui in 60 mila sono scesi in piazza per dire no ai progetti petroliferi previsti nella zona, in particolare contro quello denominato Ombrina Mare. Dannoso o meno per l’ecosistema marino, l’air gun mirato alla ricerca dei giacimenti di idrocarburi è dunque visto come il primo passo verso questo tipo di futuro su cui non tutti sono disposti a rischiare.

Anna Toro

Laureata in filosofia e giornalista professionista dal 2008, divide attualmente le sue attività giornalistiche tra Unimondo (con cui collabora dal 2012) e la redazione di Osservatorio Iraq, dove si occupa di Afghanistan, Golfo, musica e Med Generation. In passato ha lavorato per diverse testate locali nella sua Sardegna, occupandosi di cronaca, con una pausa di un anno a Londra dove ha conseguito un diploma postlaurea, sempre in giornalismo. Nel 2010 si trasferisce definitivamente a Roma, città che adora, pur col suo caos e le sue contraddizioni. Proprio dalla Capitale trae la maggior parte degli spunti per i suoi articoli su Unimondo, principalmente su tematiche sociali, ambientali e di genere. 

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