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Poligoni sardi e basi militari: la contaminazione “sotto il tappeto”
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Altro che riduzioni, dismissioni e bonifiche: i piani della Difesa per quell’isola delle contraddizioni che è la Sardegna, prevedono tutt’altro. E non si tratta solo della notizia, riportata ampiamente da tanti siti amici, che da settembre anche l’aviazione israeliana tornerà nei poligoni sardi per le sue esercitazioni speciali (cosa in realtà affatto nuova, ma che oggi, con il bombardamento a tappeto di Gaza in corso e l’uccisione di migliaia di civili palestinesi, genera ancora più scandalo e orrore). Da un po’ di tempo a questa parte, infatti, è in corso un braccio di ferro tra Stato e Regione per un ridimensionamento dell’area delle servitù militari dell’isola, che con i suoi 35mila ettari di poligoni ospita oltre il 60 per cento di tutte le zone destinate ai militari in Italia. Senza contare le aree marine interdette, in una terra che dovrebbe fare delle sue spiagge e del suo splendido mare uno dei principali motori di sviluppo e di rilancio economico.
A rinfocolare la polemica la visita segreta della ministra Pinotti che, già sull'isola per le meritate vacanze, compie una ricognizione ai vari siti militari sardi e anche al poligono di Teulada. Nessuno sapeva nulla di questa improvvisa comparsata di Pinotti: le critiche a questo comportamento sono riuscite ad unire desta e sinistra in un coro di disapprovazione.
Insomma, se la regione preme per una graduale smilitarizzazione del territorio isolano, dal potere centrale tutta una serie di episodi recenti mostrano che in realtà la musica non cambia, e che anzi altri territori potrebbero venir tolti alle attività agricole e turistiche per far spazio a basi e installazioni con stellette. Tutto questo, mentre le popolazioni adiacenti continueranno ad avere a che fare con divieti, fili spinati, veleni e malattie “misteriose” e mortali, forse dovute all’inquinamento e forse no, perché ancora “non ci sono prove scientifiche certe”.
Proprio riguardo all’inquinamento ambientale, l’ultima novità appena sfornata dal governo si chiama decreto legge 91 sulla “Competitività”, approvato in via definitiva dalla Camera, che tra le altre cose equipara l’inquinamento nelle aree sottoposte a servitù militari a quello delle zone industriali. Le quali, manco a dirlo, hanno delle soglie molto più alte. E quindi, ecco che i limiti soglia per sostanze inquinanti come il cobalto e l’arsenico passano rispettivamente da 20 mg/kg a 50 e 250 mg/kg; il benzene ha un limite più alto di 20 volte, mentre per il tetracloroetilene il limite è 40 volte più alto. E così via. In fin dei conti, un modo molto comodo per bypassare le bonifiche a lungo promesse e mai attuate, semplicemente cambiando le carte in tavola.
“L’obiettivo è mettere sotto al tappeto la contaminazione dei suoli delle aree militari alzando anche di 100 volte i limiti di legge” scrive in una nota il Coordinamento Nazionale Siti Contaminati, che riunisce comitati e associazioni impegnati sul fronte dell’inquinamento, tra cui Legambiente, Peacelink, AIEA (Associazione Italiana Esposti Amianto), Comitato sardo Gettiamo le Basi e tanti altri a livello sia locale che nazionale. Il nuovo decreto, infatti, va a colpire tutte le zone d’Italia sottoposte a servitù (circa 50 mila ettari in totale): da Perdasdefogu e Capo Teulada in Sardegna, a Monte Romano nel Lazio, fino al Friuli Venezia Giulia, che già aveva siglato un’intesa con l’isola per cercare di far modificare la norma, giudicandola “non compatibile con gli obiettivi di bonifica, né con il risanamento del territorio”. Come abbiamo visto, senza successo.
A questo si aggiunga il progetto di ampliamento del poligono di Teulada, nel sud ovest dell’isola, con la costruzione di due villaggi super tecnologici destinati alle esercitazioni belliche e alle guerre simulate: uno dovrà riprodurre fedelmente un centro del Medioriente, l’altro invece una città del centro Europa. Piano per cui esisterebbero già dei fondi (20 milioni di euro) ma che la regione, in questo caso, è riuscita a rimandare invocando la necessità di avere più informazioni a riguardo.
E dire che, solo un mese fa la giunta sarda guidata da Francesco Pigliaru si era rifiutata di firmare il protocollo d’intesa con il ministero della Difesa per il rinnovo delle servitù militari sull’isola, proprio per sollecitare un graduale alleggerimento della militarizzazione del territorio. Le intenzioni del governo italiano, invece, vanno proprio nel senso opposto: come dimostra anche la recentissima bocciatura della proposta di emendamento all’articolo 120 della Costituzione, che consentiva l’impiego permanente di parti di territorio nazionale come poligoni militari per esercitazioni a fuoco “previa intesa con la Regione o Provincia autonoma interessata, anche ai fini dell’adozione di adeguate misure compensative di carattere economico e sociale”. Un modo per ribadire ancora una volta che, sulle servitù militari, le istituzioni locali non hanno voce in capitolo.
Come se già il loro peso non fosse eccessivo: dai poligoni missilistici (Perdasdefogu) e per esercitazioni aeree (Capo Frasca) e a fuoco (Capo Teulada), agli aeroporti militari (Decimomannu), fino alle basi e ai depositi di carburanti. Tutte queste strutture e infrastrutture sono al servizio delle forze armate italiane o della Nato, e vengono affittate a prezzi esorbitanti a numerose potenze straniere, tra cui Israele, per testare nuove armi e tattiche di guerra. Alle popolazioni locali, restano le briciole di un’economia tipicamente dipendente dalle presenze delle basi militari, che non lascia spazio per altri sbocchi, mentre acque e territori vengono avvelenati. Proprio per questo, anche a livello politico, l’opposizione a ogni tipo di ampliamento delle aree militari è in genere bipartisan, con le dovute differenze di approcci e modus operandi spesso inefficaci.
E mentre il 21 settembre nei poligoni riprenderanno le esercitazioni e le sperimentazioni interrotte per l’estate – tra i soliti sganci di bombe da aereo, tiri contro costa, operazioni di “brillamento” di ordigni, missili ed esercitazioni a fuoco di carri armati e di fucilieri – la parola passa alla società civile: il 13 settembre, proprio davanti al poligono di Capo Frasca in provincia di Oristano, è in programma una grande manifestazione organizzata da diverse associazioni e movimenti politici. “Vogliamo che la Sardigna diventi un’isola di pace – si legge nel comunicato – e che il suo territorio sia assolutamente indisponibile per le esercitazioni di guerra di qualunque esercito (compreso quello italiano) e sia interdetto a qualunque attività o presenza connesse con chi usa la guerra per aggredire altri popoli o per crimini contro i civili, colpendo ospedali, scuole, rifugi per sfollati e abitazioni civili”.