AAA: acqua, aridità, ambientalismo

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Foto di Mike Erskine su Unsplash

Sull’Himalaya è allarme siccità.”

Una grave siccità sta colpendo il Mediterraneo occidentale.”

Clima, mega-siccità negli Stati Uniti: mai così negli ultimi 1.200 anni.”

Australia, migliaia di pesci morti nel Nuovo Galles del Sud per caldo e siccità.”

Da Oriente al Mediterraneo, dall’America del Nord all’Australia, gli effetti dell’aumento delle temperature minacciano direttamente la sopravvivenza del pianeta e del genere umano. Senza acqua non c’è, infatti, alcuna forma di vita. Secondo un recente studio dell’International Centre for Integrated Mountain Development (ICIMOD) di Kathmandu entro il 2100 verranno meno i ghiacciai dell’Himalaya, esaudendo la principale riserva idrica del pianeta. E all’inizio di quest’anno l’Organizzazione meteorologica mondiale ha certificato che il 2022 è stato per l’Italia l’anno più caldo di sempre (dal 1800!), registrando più di 3,5°C rispetto al periodo pre-industriale.

I cambiamenti climatici sono sotto gli occhi di tutti, basta aprire una finestra di casa. Ciononostante, i negazionisti dei social continuano a far sentire la loro voce cercando di sconfessare i dati riportati di continuo dalle associazioni e dagli enti di categoria. Discorsi farneticati e poi amplificati da alcuni politici, tra cui anche la premier Giorgia Meloni che recentemente, dinanzi alla platea elettorale del partito Vox spagnolo riunito a Valencia, parla di necessità di “fermare il fanatismo ultra-ecologista” perché intacca il modello economico-produttivo attuale.

Le manifestazioni del basso del Friday for future e le ben più istituzionali COP (Climate Change Conference) dell’ONU con i delegati governativi, di cui si è in attesa della prossima a fine anno a Dubai (COP28), continuano a sensibilizzare e a cercare di dare consapevolezza diffusa di quanto sta accadendo. Ma non bastano più. Occorrono “cerotti” al pianeta, in assenza di un Pronto soccorso dove se ne possano prendere cura e decidano di comune accordo quale terapia applicare. Se, infatti, la diagnosi appare chiara, la cura e la prognosi restano un rebus di cui ben pochi Paesi intendono assumersi responsabilità e costi.

Un “cerotto” è arrivato il 12 luglio dal Parlamento Europeo che ha approvato la Nature Restoration Law per lo sviluppo da parte di ciascun membro dell’UE di piani nazionali di ripristino della natura e di “recupero” degli ecosistemi naturali. L’UE ha stanziato circa 100 miliardi di euro e calcolato che, per ogni euro speso, ci saranno fra gli 8 e i 38 euro in benefici. Nello specifico la disposizione ha previsto la copertura arborea in ogni città (un minimo del 10% per abbassare le alte temperature acuite dalla presenza dell’asfalto), la riumidificazione delle torbiere prosciugate (per assorbire carbonio), diverse azioni per l’aumento della biodiversità nei terreni agricoli, il ripristino degli habitat nei fondali marini e la rimozione delle barriere fluviali in modo da prevenire disastri durante le alluvioni (si prevede di “liberare” 25mila Km di fiumi). Il “cerotto” però è uno strumento in mano alla governance di ciascun Stato membro che dovrà sviluppare piani nazionali di ripristino della natura con una precisa rendicontazione di quanto fatto. Attualmente lo staff italiano ha già seri problemi nel dar conto dei fondi del PNRR e appare contrario alla norma: Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega hanno, infatti, votato contro in sede europea. A fronte di un piano europeo, il cosiddetto Green Deal, che prosegue, la compagine governativa parla invece di riapertura delle trivellazioni del Mar Adriatico e delle miniere nel Belpaese facendo finta di non vedere la realtà fatta di alluvioni e disastri ambientali continui, a cui non si continua a mettere mano.

Un altro “cerotto” è poi dato dalla ricerca e dall’innovazione trasmediterranea. Un esempio è un progetto europeo di “Riutilizzo di acque non convenzionali in agricoltura nei Paesi mediterranei” che vede il coinvolgimento di 5 realtà di Italia, Spagna, Palestina, Giordania e Tunisia, con capofila l’Università di Sassari. MENAWARA, questo il nome del progetto, ha studiato e realizzato dei sistemi di riutilizzo di acque reflue depurate per combattere la siccità. Nella città di Arborea, in Sardegna, è stato creato un impianto forestale di infiltrazione per ridurre e mitigare l’inquinamento da nitrati, tentando così di risolvere il problema della loro diffusione nella falda acquifera. Considerando che in Italia il 60% dell’acqua dolce è impiegata in agricoltura, è un obiettivo primario quello di tutelare le falde, anche dai nitrati dannosi per la salute dell’uomo. Un impianto di depurazione di acque reflue è stato realizzato anche in un villaggio della Palestina e in diversi territori della Giordania con l’obiettivo di irrigare i campi. In Tunisia e in Andalusia (Spagna), territori tra i più secchi del bacino del Mediterraneo, l'utilizzo di acque reflue trattate ha riguardato le ampie coltivazioni di olivi.

Questo, come altri progetti di ricerca, immaginano un futuro sostenibile. Basta volerlo un futuro.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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