24 ottobre: i 70 anni della Carta ONU

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Oggi l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) compie 70 anni. Gli auguri sono di dovere dinanzi alla longevità dell’Organizzazione ma anche in ragione delle sfide che la stessa è chiamata ad affrontare per adattarsi alle trasformazioni della comunità mondiale. Al di là della commemorazione e delle cerimonie di rito, sotto la patina delle strette di mano e dei sorrisi, l’occasione è infatti ghiotta per poter richiamare l’attenzione su tutto ciò che non funziona nel panorama globale e tentare di affrontare i diversi problemi.

È in particolare il sistema multilaterale della sicurezza collettiva che sembra essere entrato in una profonda crisi, con il superamento nella pratica del consenso ONU all’uso della forza. È successo in Iraq nel 2003, di nuovo in Libia nel 2011 e ancora in Siria in questi ultimi mesi. Appare svuotato delle sue precipue funzioni lo stesso Consiglio di Sicurezza, posto all’indomani del secondo conflitto mondiale proprio a regolare e dirimere le vitali questioni connesse alla pace e alla sicurezza internazionali, per dirla in parole povere ad “autorizzare” o meno il ricorso alle armi. Se il conflitto bipolare tra USA e URSS ha a lungo bloccato il funzionamento dell’organo, con il crollo del blocco sovietico il Consiglio ha incontrato un ostacolo ben più duro da superare: la mancata rispondenza dell’organo, in particolare dei suoi 5 membri permanenti, con i principali attori delle attuali relazioni internazionali. Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia corrispondono solo in parte alle gerarchie delle potenze economiche, industriali, demografiche, per estensione o per possesso di materie prime. Tuttavia la riforma dell’organo nella direzione di un suo allargamento resta un problema all’ordine del giorno disatteso da tempo da parte di quegli stessi Stati membri che più avrebbero da perdere.

Un altro esempio? L’indignazione è montata sul web nelle scorse settimane alla diffusione dell’informazione per cui il rappresentante dell’Arabia Saudita avrebbe presieduto nel 2016 il Consiglio ONU per i Diritti Umani. Uno “scandalo” reso ancora più visibile dalla contemporanea sentenza di condanna a morte emessa da Riad contro il giovane Ali al-Nimr, attivista antigovernativo minorenne all’epoca dei fatti contestati, e con la diffusione dei dati di Amnesty International e di Nessuno Tocchi Caino sulle esecuzioni record eseguite quest’anno nel Paese. Polemiche condivisibili ma assolutamente vane se, piuttosto che approfondire le ragioni e le modalità per cui tale nomina è stata possibile, esse si limitano a fare eco a chi addita indiscriminatamente l’ONU come “garante” di patenti forme di violazioni dei diritti umani. Affermare che l’ONU autorizzi tale distorsione dei suoi valori è ben diverso dal constatare che è stato invece il voto della maggioranza dei 47 Stati membri rappresentati nel Consiglio ONU per i Diritti Umani ad eleggere la presidenza dell’organo, in questo caso il rappresentante dell’Arabia Saudita, in base a un fondamentale principio di democrazia rispettato all’interno dell’Organizzazione. L’ONU è un ente privo di sovranità e le sue azioni sono il riflesso di scelte e di deleghe di sovranità degli Stati membri. Occorre prenderne atto quanto prima, nell’ottica di strutturare organismi più efficienti e più in linea con i valori e le finalità del suo Statuto. Come? La risposta non può che essere nella creazione di un’opinione pubblica consapevole e informata che, come nel corso della Campagna del Millennio per il raggiungimento degli 8 Obiettivi di sviluppo globale, pungoli e pretenda spiegazioni ai governi per il loro operato e per quello dei propri rappresentanti negli organi ONU, come coloro che hanno designato l’Arabia Saudita alla presidenza del Consiglio per i Diritti Umani.

Inefficiente sicurezza collettiva e “spinose” designazioni negli organi rappresentativi sono solo due aspetti dell’attività onusiana. I temi dello sviluppo sostenibile, dei cambiamenti climatici, dell’assistenza umanitaria costituiscono i principali ambiti di intervento nei quali l’ONU riesce meglio a investire le proprie competenze tecniche, oltre alla codificazione delle disposizioni del diritto internazionale e alla creazione di un sistema di giustizia globale. Le numerose Convenzioni sui diritti umani, a protezione dei diritti delle categorie più deboli come donne, bambini e disabili o tese a eliminare violazioni abominevoli come la discriminazione razziale o la tortura, unite alla creazione di Tribunali speciali per la ex Jugoslavia e per il Ruanda, fino all’istituzione della Corte Penale Internazionale, rappresentano gli ambiti di maggiore successo dell’ONU. Ci si dimentica peraltro troppo spesso dell’assegnazione all’ONU dell’insostituibile ruolo di paciere e di arbitro, di forum di discussione e di incontro tra gli Stati, condiviso universalmente. Un ruolo senz’altro da valorizzare anche in un terzo millennio all’avanguardia dal punto di vista delle comunicazioni ma in cui gli Stati a stento dialogano e troppo facilmente ricorrono all’intervento armato.

Siamo in tempi ben diversi rispetto a quelli che videro l’ideazione e la creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: passato il centenario della Grande Guerra e con la rapida scomparsa anche dei testimoni diretti della Seconda Guerra Mondiale, quelle carneficine appaiono relegate a un mondo ormai scomparso nell’immaginario collettivo. I recenti numerosi conflitti e i flussi di profughi che qualche tempo fa avevano indotto a parlare di una “Terza Guerra Mondiale” in corso, le conseguenze dei cambiamenti climatici e delle disuguaglianze economiche, non possono che trovare una soluzione globale e condivisa. Una risposta che ad oggi solo l’ONU può fornire.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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