Senz'acqua o sott'acqua?

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Le recenti celebrazioni della Giornata mondiale dell’acqua del 22 marzo e della Giornata mondiale della meteorologia del 23 marzo ci hanno ricordato che il cambiamento climatico e le sue conseguenze hanno effetti devastanti e quotidiani che dovrebbero essere all'ordine del giorno di tutte le agende politiche. Dovrebbero, perché nonostante il cambiamento climatico stia prosciugando l’Africa orientale e meridionale, “Lasciando oltre 116 milioni di persone senz’acqua e aggravando la crisi alimentare” come denuncia il nuovo report di Oxfam “Water – driven hunger: how the climate crisis fuels Africa’s food emergency”, o sia il responsabile della morte di più di mille bambini sotto i 5 anni ogni giorno nel mondo, come ha denunciato l'Unicef o ancora stia maltrattando l'Italia con un 2024 che ha visto un aumento degli eventi meteo estremi di quasi 6 volte (+485%) rispetto al 2015, come abbiamo recentemente ricordato rilanciando i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale Città Clima di Legambiente, il clima purtroppo non togli ancora il sonno ai politici!  

La denuncia, arrivata nelle scorse settimane da Oxfam, ha messo sotto la lente di ingrandimento la correlazione tra “crisi idrica e aumento della fame” evidenziando come l’agricoltura, la pesca e l’allevamento siano sempre più minacciati dagli eventi climatici estremi che contaminano o esauriscono le riserve d’acqua. Otto i paesi africani analizzati da Oxfam: Etiopia, Kenya, Malawi, Mozambico, Somalia, Sud Sudan, Zambia e Zimbabwe dove per Francesco Petrelli, portavoce e policy advisor sulla sicurezza alimentare di Oxfam Italia La situazione è sempre più drammatica. Basti pensare che negli ultimi 5 anni il numero di persone colpite da malnutrizione acuta è cresciuto dell’80%, passando da quasi 31 milioni nel 2019 a oltre 55 milioni nel 2024. Si tratta di due abitanti su dieci. Un’emergenza causata da una crisi climatica ormai fuori controllo”. Negli otto paesi presi in esame, il 91% dei piccoli agricoltori dipende quasi interamente dall’acqua piovana per bere e coltivare. In particolare in Etiopia, l’insicurezza alimentare è aumentata del 175% negli ultimi cinque anni, con 22 milioni di persone che non sanno come e dove trovare acqua e cibo per sopravvivere. In Kenya, tra il 1980 e il 2020, oltre 136.000 chilometri quadrati di terreno sono diventati più aridi, decimando colture e bestiame e in Somalia, la mancanza di precipitazioni stagionali sta riducendo alla fame estrema un altro milione di persone, portando il totale a 4,4 milioni di persone, ossia il 24% della popolazione. 

Non solo dati, dietro ai numeri di Oxfam ci sono persone e le prime vittime della deriva climatica sono sopratutto donne e ragazze che in paesi come Somalia, Etiopia e Kenya sono costrette a camminare fino a 10 chilometri in cerca di acqua, esponendosi a violenze e fatica, costrette spesso a lasciare i propri figli piccoli da soli e sottraendo tempo all’istruzione o al lavoro. I governi africani ricevono meno della metà dei 50 miliardi di investimenti necessari per garantire l’accesso all’acqua a milioni di persone. “L’Africa ha bisogno di giustizia climatica e i paesi ricchi che inquinano di più devono pagare la loro parte - ha concluso Petrelli - L’Africa subsahariana, per esempio, riceve solo il 3–4% dei finanziamenti globali per il clima, nonostante sia fortemente colpita dal caos climatico. Allo stesso tempo i governi africani devono raddoppiare gli investimenti nelle infrastrutture idriche e nella protezione sociale per gestire efficacemente le loro risorse naturali e aiutare le comunità più vulnerabili a far fronte agli shock climatici”. Similmente l'allarme di Unicef, che ogni anno fornisce accesso all’acqua potabile a oltre 35 milioni di persone e guida il coordinamento degli interventi per l’acqua e l’igiene in circa l’85% dei paesi colpiti da emergenze, ci ricorda che “Con l’aggravarsi dello stress idrico, entro il 2040circa un bambino su quattro in tutto il mondo vivrà in aree con uno stress idrico estremamente elevato, mentre entro il 2030, circa 700 milioni di persone potrebbero essere sfollate a causa di un'intensa carenza idrica”. In aggiunta le alte temperature che portano alla proliferazione batterica distruggono e contaminano intere riserve d’acqua, aumentano il rischio di malattie come il colera e il tifo, a cui i bambini sono particolarmente vulnerabili. 

Che fare? Nella Giornata mondiale della meteorologia di quest'anno, dedicata all'azione per colmare il divario che separa i Paesi che hanno organizzato sistemi di allerta rapida a salvaguardia della popolazione e quelli che ne sono ancora privi, la Word Meteorological Organizzation (Wmo) ha ricordato come “Colmando insieme il gap per le allerte precoci possiamo creare un mondo più sicuro e resiliente”. I progressi ci sono, tanto che in nove anni i Paesi che hanno realizzato sistemi di allerta rapida sono quasi raddoppiati: dai 52 del 2015 ai 108 del 2024, ma “Adesso è il momento di agire”, scrive la Wmo sul suo sito. L'obiettivo è accelerare la realizzazione dell'iniziativa Early Warnings for All, lanciata dall'Onu nel 2022 secondo cui a fine 2027 ogni Paese debba avere un sistema di allerta rapida. “Alla luce della nuova realtà del clima, i sistemi di allerta rapida non sono un lusso, ma beni di prima necessità e investimenti validi, che offrono un rendimento quasi decuplicato”, ha ricordato lo scorso 23 marzo il segretario generale dell'Onu António Guterres sul sito della Wmo. Di sicuro il cambiamento climatico, che uccide complessivamente 1,4 milioni di persone l’anno, ci sta portando in situazioni mai sperimentate e condizionando sistemi di meteorologia mai esplorati. Serve investire non solo in mitigazione, ma anche in ricerca, perché questa disciplina è ormai uno di fronti più importanti per garantire la salute e la sicurezza nostra e del Pianeta. 

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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