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Trento: P. Collier, un 'piano Marshall' europeo per l'Africa
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"L'Europa dev'essere per l'Africa quel che l'America è stata per l'Europa sessant'anni fa quando ha fatto l'ultima cosa seria a livello internazionale: il piano Marshall". Lo ha affermato il professor Paul Collier, docente alla Oxford University ed ex-direttore del Centro studi della Banca mondiale nel suo intervento "Guerre, sviluppo, democrazia: quale futuro per l'Africa?" al Festival dell'Economiache si è concluso ieri a Trento.
"Il Terzo Mondo è cambiato. Diciamo meglio: non esiste più" - ha esordito l'economista. "Lo sviluppo di Cina e India cambiano gli scenari della povertà, e mostrano che il mondo è uno solo. Ma con grandi squilibri al suo interno". I veri poveri, oggi, sono gli africani. Cosa differenzia i poveri dell'Africa da quelli dell'India o della Cina? La mancanza di prospettive. Il basso, bassissimo livello di sviluppo dei loro paesi, che se confrontato con la crescita straordinaria di altri, fa sì che le aspettative per il futuro siano di un sempre maggiore impoverimento. Se le cose non cambiano, e in fretta, fra 40 anni il divario sarà semplicemente irrecuperabile.
Ci sono stati però, negli ultimi anni, anche segnali importanti e Collier non li sottovaluta: in molti paesi si è avviato il processo di democratizzazione, ci sono stati accordi di pace in realtà lacerate dalle guerre civili (che in genere sono assai più lunghe di quelle fra Stati), l'Africa ha iniziato ad esportare beni di consumo (anche se più spesso l'export è di prodotti primari, come il petrolio).
Tutti questi fattori possono rafforzare il progresso dell'integrazione africana nel mercato mondiale. Ma molto dipende da come essi si combinano. Prendiamo la democrazia. In linea generale, Collier conclude che essa migliora laddove il paese non esporta prodotti di base come il petrolio, che evidentemente eccitano in maniera incontrollabile gli appetiti di chi governa o intende governare. "Ma la democrazia - avverte Collier - non è solo il diritto di voto. E' anche un sistema di controlli, di freni e contrappesi. Laddove questi sono stati adottati, i risultati sono stati buoni persino laddove il paese ha orientato il suo sviluppo sull'esportazione di qualche materia prima, come il Botswana con i diamanti. Al contrario, l'enfasi eccessiva sulla competizione elettorale ha peggiorato le cose, perché i contendenti hanno ritenuto che una volta conquistato il potere avrebbero potuto fare tutto ciò che volevano; è il caso ad esempio del Kenya, le cui ultime elezioni hanno rischiato di spaccare il paese." L'eccessiva fiducia nel solo processo elettorale fa sì, secondo Collier, che spesso gli organismi di pace trascurino un altro importante fattore, la sicurezza. "Spesso avviene che le forze di pace Onu se ne vadano subito dopo le elezioni. Noi sappiamo invece che l'avvicinarsi delle elezioni porta ad un periodo di stabilità, ma la situazione può precipitare subito dopo il voto."
Fin qui l'analisi. Ma il libro di Paul Collier, "L'ultimo miliardo", per il quale è diventato giustamente famoso, contiene anche una tesi forte riguardo al "che fare", e Collier l'ha esposta così. "Bisogna guardare a ciò che ha fatto l'America per l'Europa nel Secondo dopoguerra. L'America non solo ha varato il piano Marshall, quindi ha aiutato l'Europa a risollevarsi, ma ha aperto anche i suoi mercati alle merci europee, e ha garantito la sicurezza del Continente. Oggi l'Africa è come l'Europa allora. Il ruolo che è stato degli Usa deve essere assunto in primo luogo dall'Europa, per due ragioni: perché l'Europa a suo tempo ha beneficiato della politica americana, quindi sa che cosa bisogna fare; perché l'Europa confina con l'Africa, e quindi è nel suo interesse stabilizzare quel Continente e farlo crescere."
In che cosa si deve tradurre, dunque, l'impegno europeo? Collier elenca quattro punti: gli aiuti; la liberalizzazione del commercio; la sicurezza; la buona governance. Quest'ultimo punto risulta essere, forse, il più delicato. Come favorire lo sviluppo del "buon governo" di un paese e della sua economia, senza imporre misure di sapore neocoloniale? Collier cita gli accordi volontari, le certificazioni, i codici internazionali a cui i paesi decidono liberamente di aderire, come quello relativo alle esportazioni di materie prime (per il quale è il popolo sovrano a dover decidere): bisogna incoraggiare i paesi africani ad aderire a queste iniziative e a percorrere queste strade.
Naturalmente gli ostacoli sono moltissimi. Nel campo del libero commercio, secondo lo studioso, gli Stati Uniti negli ultimi anni si sono comportati assai meglio che l'Europa con il suo piano "Tutto tranne le armi". Ora quest'ultimo dovrebbe essere sostituito dagli accordi Epa: sulla carta interessanti - ha detto Collier - ma per come si sono condotte le trattative finora, un disastro nella pratica. Poi ci sono gli accordi che le multinazionali hanno siglato con i paesi ricchi di materie prime, per ottenere le licenze relative al loro sfruttamento: scandalosamente a vantaggio delle prime.
"Eppure uno strumento alternativo ci sarebbe, sono le aste internazionali, che consentono di massimizzare i vantaggi per i paesi produttori e al tempo stesso di eliminare la corruzione. Perché l'Europa non incoraggia queste buone prassi? Perché si accontenta di gesti simbolici: ogni tanto un politico va in Africa, prende in braccio un bambino, dice che gli aiuti saranno aumentati, e la cosa finisce lì.".
Ma non c'è solo l'Europa. Oggi anche altri partners cercano di relazionarsi con l'Africa: ad esempio il Brasile, e soprattutto la Cina. In particolare quest'ultima, spesso stigmatizzata come un'altra delle tante potenze che vogliono solo sfruttare il continente africano, va coinvolta secondo Collier in un'azione ampia e pervasiva per favorire lo sviluppo del continente. "Del resto - ha aggiunto - anche alla Cina conviene, perché non ha alcun interesse a vedere degenerare la situazione e in caso di nuove guerre in Africa non sarebbe certo nella condizione di poter inviare delle sue truppe. Anche alla Cina conviene dunque un'Africa inserita nel mercato mondiale."
Fonte: Festival dell'Economia