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Tunisia: tra migranti morti e ipocrisia
Mortalità infantile
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Foto: Mark Eder da Unsplash.com
Un altro corpo di un migrante senza vita al confine tra Libia e la Tunisia. Un altro, l’ennesimo, dopo che la foto di Matyla e Marie, mamma e figlia, immortalate abbracciate, dopo esser morte di sete nel deserto, ha fatto il giro del mondo qualche giorno fa.
Un’immagine divenuta virale, che però non è riuscita a contaminare di umana pietà le politiche europee, quelle che continuano a stringere accordi con la Tunisia, che scambiano denaro per respingimenti, che fingono di farci credere che il paese del presidente Kais Saied sia un “paese sicuro”, come scrivono i patti che esternalizzano le frontiere, prevedendo rimpatri.
E che l’umana pietà si è persa lo dimostra il mezzo di diffusione che le guardie di frontiera libiche hanno ritenuto consono per dare la notizia dell’”immigrato illegale di nazionalità africana, trovato (morto) vicino alla linea di contatto con lo Stato tunisino”, Facebook.
Un social media per diffondere una nota informativa di denuncia: «Le autorità tunisine continuano a deportare centinaia di immigrati ogni giorno verso il confine libico nonostante le ondate di calore nella regione». Il bue che dice cornuto all’asino.
In mezzo al deserto
Intanto la preoccupazione sale. Sono infatti diverse e numerose le testimonianze raccolte dall’agenzia di stampa francese AFP che raccontano di centinaia di persone migranti di origine africana nella zona cuscinetto di Ras Jedir, tra Libia e Tunisia.
Sarebbero circa 140, provenienti (guarda caso) dall’Africa subsahariana, deportati al confine, dove hanno dato vita a un accampamento di fortuna che dista appena trenta metri dalla frontiera libica.
È lì che si trovano, da circa tre settimane, senza acqua né cibo. Tutti sanno. Compresi noi europei. Nessuno interviene.
Tra le voci riportate da AFP, quella di George, nigeriano di 43 anni: «Non sappiamo dove ci troviamo. Stiamo soffrendo qui, senza cibo e acqua. I libici non ci permettono di entrare nel loro territorio e i tunisini ci impediscono di tornare indietro. Siamo bloccati in mezzo a tutto questo. Per favore aiutateci!».
Sempre stando alle testimonianze dell’agenzia francese, ci sarebbero altri due gruppi, di circa un centinaio di persone ciascuno, nella stessa zona di confine libico-tunisina.
Gli appelli
La preoccupazione e l’eco si diffondono. L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) hanno diffuso un comunicato in cui esprimono apprensione per le sorti di queste persone, richiedenti asilo, rifugiate, che si trovano bloccate in mezzo al nulla...